Luigi Einaudi

Cercasi Einaudi in Mps

Francesco Forte

Il salvataggio è una tassa necessaria, ma la banca va ristrutturata e non assistita. La lezione di Luigi Einaudi

Secondo Luigi Einaudi, lo stato può intervenire con misure temporanee per una banca che ha una crisi di liquidità, per evitare la sua crisi e il panico che ne deriverebbe. Ma ciò, scrive sul Corriere della Sera in un editoriale del 7 dicembre 1921 – ripreso nella raccolta “La difficile arte del banchiere” (Laterza) – comporta un’imposta consistente nel fatto che tale intervento genera un aumento di circolazione monetaria, che causa un aumento dei prezzi o una loro mancata riduzione. Einaudi assumeva che lo stato si sarebbe indebitato con la Banca centrale e che lo potesse fare, perché la Banca d’Italia, che allora aderiva al sistema monetario su base aurea, vi aveva derogato per finanziare lo sforzo bellico e la ricostruzione post bellica. La mancata riduzione dei prezzi appariva un danno grave quanto il loro aumento, perché l’Italia doveva lottare contro la spirale di inflazione e per vincere questa battaglia occorreva “rompere il torchio dei biglietti”. L’inflazione causata dal salvataggio bancario era una sorta d’imposta di consumo, su tutti. Occorre pagarla, se il panico bancario genera per tutti un danno più grave.

Ma, continua Einaudi, lo stato deve evitare di finanziare imprese malsane con un’imposta a loro favore. Dunque, dopo l’intervento per crisi di liquidità, lo stato deve risanare la banca aiutata. Da ciò che Einaudi scrisse in generale sulle imprese pubbliche è noto che le ammetteva solo quando sono un monopolio naturale e quando la collettività non può fare a meno del loro servizio, cioè soddisfano un bisogno condizionale alla soddisfazione della generalità dei bisogni provati, come erano allora le poste, le ferrovie e certe aziende municipali di pubblica utilità. Le banche non sono certo un monopolio naturale e quindi, per chi crede nel mercato di concorrenza, lo stato deve privatizzare il più presto possibile la banca salvata o chiuderla, se essa non è in grado di stare in piedi, dopo la ristrutturazione.

 

 

Mi sembra che la dottrina di Einaudi dell’imposta per salvare la banca si applichi a pennello al caso italiano attuale, con le varianti dovute sia al fatto che rispetto ad allora sono passati quasi cento anni sia al fatto che non abbiano una spirale di inflazione, ma cerchiamo una “riflazione” sicché alcune variabili sono mutate. Occorre, dunque, applicare la dottrina di Einaudi la clausola “ceteris paribus”. Qualcuno può chiedere perché bisogna dar credito a Einaudi e non a Keynes, che non aveva canoni assoluti sul miscuglio privato/pubblico e riteneva mai esistita e irreale, comunque superata, l’economia di mercato di concorrenza. Al riguardo rinvio al mio libro “Einaudi versus Keynes”, da poco uscito presso l’editore Rubbettino. Aggiungo che Einaudi concepiva la stabilità monetaria conforme al mercato, come una linea o una piccola fascia di movimento dei prezzi senza inflazione né deflazione. Ciò posto, va comunque osservato che, in ogni caso, lo stato non può coprire i 20 miliardi del suo bazooka per il salvataggio bancario con il torchio dei biglietti di carta moneta, essendo ciò vietato dalle regole dell’Unione monetaria europea. Deve pagare con debito emesso sul mercato e quindi o con una vera “imposta a carico del contribuente” o con un taglio della spesa pubblica, se non riesce a recuperare l’intero costo del salvataggio bancario, dopo una ristrutturazione rapida e senza sconti buonisti.

Dal che viene anche la richiesta di un uso minimo del bazooka, ossia di non dare l’impressione che stia creando un precedente da imitare per evitare ristrutturazioni private delle altre banche carenti di parametri patrimoniali, che vanno ricapitalizzate, ma anche liberate dalle “sofferenze” per fare emergere la loro solvibilità strutturale (dopo un’adeguata riorganizzazione). La Banca centrale europea compra i nostri titoli pubblici sul mercato secondario, ma il debito che sarà fatto per salvare Monte dei Paschi di Siena va ad aumentare il nostro rapporto debito-pil. Ciò è tollerabile solo temporaneamente e, comunque, già ora pesa sul nostro futuro. Ergo, l’imposta c’è. Occorre che sia temporanea e che sia minimizzata. 

Di più su questi argomenti: