Neoautarchia statale = declino
Le parole di Calenda sono la confessione del fallimento del capitalismo italiano, composto da imprenditori di stato protetti da governi di ogni colore politico. In questo consiste esattamente l’“Italianità”. Dovremmo invece chiederci se averla difesa nonostante gli scarsi capitali privati non sia un fattore chiave all’origine del nostro declino economico. Perché mai un’azienda che sta sul mercato, come Mediaset, dovrebbe essere esentata dalle leggi del mercato riguardo alla sua contendibilità? Se non si voleva correre questo rischio bastava che chi la controlla conservasse più del 50 per cento delle azioni. Così funziona. Vogliamo confrontarci col resto del mondo oppure chiuderci in una neo-autarchia? Così come i nostri atleti partecipano alle Olimpiadi e le squadre di calcio si iscrivono ai tornei internazionali, perché le nostre imprese e i nostri capitalisti non dovrebbero fare altrettanto? La risposta, nascosta dietro il tema dell’italianità, è semplice: perché perdono. Loro perdono, rinunciano a provare a vincere, e noi decliniamo, impoverendoci, rinunciando alla prospettiva della crescita e chiudendoci in una specie di modello economico neofeudale nel quale consideriamo normale che gli attori economici locali trovino protezione nel castellano di fronte alla possibile concorrenza di attori più bravi provenienti dall’esterno. E’ un modello precapitalista e anticapitalista. Di fronte ad esso bisogna allora rendere omaggio al più noto capitalista di stato italiano, Enrico Mattei, il quale sul piano internazionale la concorrenza alle sette sorelle del petrolio la faceva davvero. Se vogliamo tornare a crescere dobbiamo evidentemente accettare le sfide della competizione globale. Altrimenti rinunciamoci in maniera esplicita, senza nasconderci dietro argomenti ipocriti.
Ugo Arrigo – Università Milano Bicocca