Euro ripres(in)a
Non solo Brexit, Trump e crollo dell’euro. Nel Vecchio continente ci sono buone notizie per l’economia
Roma. La preoccupazione per il futuro dell’Europa dopo anni di crisi dura e prolungata, il voto della Brexit e la vittoria di Trump, l’avanzata dei partiti definiti populisti e i rischi politici a essa collegati, dall’esplosione – di nuovo – di una crisi dei debiti sovrani ai timori per una più o meno imminente dissoluzione della moneta unica, hanno talmente monopolizzato la discussione sull’Eurozona che, come osserva Simon Nixon sul Wall Street Journal, nessuno sembra essere interessato alle buone notizie sul fronte economico di questi giorni. “L’Eurozona è riuscita difficoltosamente a sopravvivere a sette anni di crisi economico-finanziaria, e quasi certamente farà lo stesso nel 2017”, dice il commentatore del Wsj.
Non che tutti questi rischi non siano reali, ma forse sono un po’ sopravvalutati o esagerati. Innanzitutto perché gli anni recenti ci hanno insegnato che “le economie sono resilienti agli choc politici” e poi perché gli ultimi indicatori macroeconomici confermano che nell’area euro è in corso una ripresa lenta ma costante, che dopo tre anni potrebbe subire un’accelerata grazie ai tassi bassi e all’euro debole.
I dati positivi indicati da Nixon sono l’indice Pmi manifatturiero, che è ai livelli più alti da maggio 2011 e quello relativo alla fiducia dei consumatori ai massimi da marzo 2011. Ma anche il tasso di disoccupazione in discesa in tutta l’Eurozona, in Germania al 4,1 per cento – il livello più basso dopo la riunificazione – mentre “la Spagna ha creato 1,6 milioni di posti di lavoro dal 2013” e in Italia il reddito disponibile aumenta al ritmo maggiore dal 2001.
Ma ci sono altri dati positivi, come per esempio quelli dell’Eurostat sulla produzione industriale in crescita nell’Eurozona dell’1,5 per cento a novembre rispetto al mese precedente e del 3,2 per cento rispetto allo scorso anno (più 2,3 per cento in Germania, più 2 per cento in Francia e addirittura più 14,6 per cento in Irlanda).
Naturalmente il Vecchio continente non è nel pieno di un boom economico, ma in una ripresa lenta, secondo le proiezioni di molti economisti attorno all’1,5 per cento nel prossimo anno. Un altro dato considerato positivo è la crescita, a lungo cercata dalla Banca centrale europea, dell’inflazione che a dicembre è salita all’1,1 per cento (quasi il doppio del più 0,6 per cento di novembre), raggiungendo il livello più alto da tre anni a questa parte (anche se la crescita è dovuta quasi integralmente all’aumento del costo dell’energia). “Dopo anni di crisi, c’è speranza per le economie dell’Eurozona”, dice il quotidiano tedesco Handelsblatt a proposito dei dati sulla crescita moderata per il 2017: “E’ un segnale positivo che la crescita e l’inflazione nell’eurozona aumentano leggermente, nonostante le incertezze relative a Trump e alla Brexit”, ha commentato il presidente dell’Istituto economico tedesco (Ifo), Clemens Fuest, Mentre per Marcel Fratzscher del think tank berlinese Diw i dati indicano che “come paziente la zona euro è in via di guarigione, la medicina delle riforme economiche ha effetto” e l’economista tedesco è convinto che per quest’anno ci saranno sorprese positive soprattutto dai paesi dell’Europa meridionale.
Segnali incoraggianti arrivano anche dall’Italia, per esempio dalla produzione industriale che a novembre ha registrato uno scatto in avanti, aumentando dello 0,7 per cento su base mensile e del 3,2 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, ai livelli più alti dall’agosto 2012. Naturalmente non è tutto rose e fiori. Secondo Moody’s, la crescita dell’Eurozona sarà dell’1,3 per cento nel 2017 e 2018 e per Francia, Germania e Italia (su di noi non c’erano dubbi) sarà ben al di sotto del 2 per cento. Saranno invece migliori le performance di alcuni paesi più piccoli, come Irlanda, Malta e Slovacchia, che cresceranno più del 3 per cento e di Grecia, Spagna e Slovenia che avranno una crescita più contenuta ma comunque superiore alla media.
Non mancano motivi per avere fiducia, ma queste divergenze, sia sulla crescita che sull’inflazione, dovrebbero suonare come un campanello d’allarme per l’Italia. Senza riforme incisive si rischiano di perdere due treni: quello della crescita moderata e quello della politica monetaria accomodante della Bce che, con l’inflazione in salita, potrebbe non durare a lungo.