Lezioni per Mediaset dall'alleanza francese di Del Vecchio
Non è una vendita né una fuga. Semmai è la quadratura del cerchio. Una mossa che ricorda da vicino quella del 1990 quando Luxottica non ebbe paura a quotarsi a Wall Street
Milano. “Oggi realizzo un sogno che coltivo da cinquanta anni”, ovvero fin dalla primavera del 1967 Leonardo Del Vecchio realizzò il “suo” primo occhiale completo in quel di Agordo, targato Luxottica. Già, l’ex martinitt, sbarcato in Cadore con un diploma serale di incisione rilasciato da Brera, trovava anche il tempo di sognare dopo 12-14 ore in officina, e un viaggio di notte fino a Milano per consegnare le sue montature in città e ripartire di corsa verso il capannone sorto sul terreno che il Comune di Agordo regalava per le nuove iniziative industriali. Quel sogno ha retto nel tempo e anche giudizio degli analisti che, fino a lunedì mattina, non lesinavano le critiche al “Re degli occhiali” che s’ostinava a stare sulla tolda di comando: un altro capitalista italiano che non sa pensare al futuro, era il commento più benevolo.
E poi: con quale coraggio Del Vecchio a 81 anni licenzia manager come fosse una diva di Hollywood (tre in poco più di due anni)? E addirittura risponde ai dubbi della Sec, la Commissione americana di Borsa, sulla governance del gruppo che “le decisioni dipendono da me”? Intanto, nel silenzio, Del Vecchio meditava il colpo grosso: le nozze tra Luxottica, leader mondiale degli occhiali, con la francese Essilor, numero uno delle lenti, da cui nascerà un colosso forte di 140 mila dipendenti in 150 paesi e più con ricavi per 15 miliardi e 3,5 miliardi di margine operativo lordo. Un’operazione da 50 miliardi che prevede che sia il gruppo transalpino ad assorbire Luxottica pagando in azioni. Al termine dell’operazione la Delfin, finanziaria di Del Vecchio che oggi detiene il 61,9 per cento della società italiana, avrà tra il 31 ed il 38 per cento di Essilor-Luxottica, più che sufficiente a controllare il capitale da primo azionista della public company francese.
In cambio, il ceo Hubert Sagnières lo affiancherà come vice-ceo. Ma entrambi i gruppi avranno a disposizione otto consiglieri. La Borsa di riferimento sarà Parigi, mica Milano che perde così uno dei pochi cavalli di razza della scuderia. Un’altra cessione a tappe, piangono i nostalgici: è inevitabile che, prima o poi, il bastone del comando finirà nelle mani di Sagnières, 21 anni più giovane del pur lucidissimo imprenditore italiano. Anche perché lo stesso Del Vecchio aveva già detto di non gradire che a succedergli sia uno dei suoi sei figli, compreso il primogenito Claudio, che si è costruito la sua strada in Brooks Brothers. Ma non è certo il caso di gridare all’amor di patria tradito. Del Vecchio, fin da quando decise di produrre, con il suo marchio invece di operare come terzista, s’è sempre rivelato capace di pensare in grande. E così, invece di difendere il suo primato di oggi, ha deciso di raddoppiare per affrontare l’ultima e più ambiziosa sfida: fornire ai due miliardi e mezzo di consumatori asiatici che non ne dispongono, il beneficio di occhiali e lenti made in Europe.
Non è una vendita né una fuga. Semmai è la quadratura del cerchio. Una mossa che ricorda da vicino quella del 1990 quando Del Vecchio non ebbe paura a quotarsi a Wall Street. All’epoca aveva il sapore della fantascienza per il capitalismo italico, impegnato a difendere il recinto domestico anziché affrontare la concorrenza. Pochi, quasi nessuno, ebbero il coraggio di seguirlo. Col senno di poi non fu una decisione saggia. Oggi Del Vecchio va a Parigi per crescere, senza rinchiudersi nel giardino di casa, forte di relazioni consolidate con Unicredit, Generali e Mediobanca, punto di riferimento delle nuove relazioni italo-francesi. Il gruppo Berlusconi, impegnato nel braccio di ferro con Vivendi, ha scelto la strada del conflitto che ha il sapore dell’autarchia o della cessione ad altri gruppi, a condizioni che non paiono migliori rispetto alla prospettiva di una grande Mediaset europea. Magari per Berlusconi vale la pena di dare un colpo di telefono a Del Vecchio, interista incallito mai pentito.
tra debito e crescita