Gianroberto Costa (foto via YouTube)

La metamorfosi della logica d'investimento. Il modello Enasarco

Alberto Brambilla

“Non solo investimenti statali, è il momento di scommettere su aziende private per ricostruire il paese”. Parla Costa

Roma. Andando indietro al 1938, l’anno di fondazione di Enasarco, il fondo pensione degli agenti di commercio aveva per missione l’investimento nella ricostruzione delle infrastrutture nazionali, provate dall’epoca bellica, e nell’edilizia urbana per rispondere alla migrazione delle masse dalla campagna alle città in via d’industrializzazione. Per un secolo, l’attenzione del fondo s’è mantenuta concentrata su titoli di stato e proprietà immobiliari locate a terzi in un’economia a trazione sostanzialmente pubblica. Ma dopo la crisi finanziaria ed economica dell’ultimo decennio, che sta mettendo alla prova le fondamenta del sistema economico nazionale, Enasarco ha provato a mettere in campo un nuovo modello per recuperare la missione originaria e unirsi alla ricostruzione di un paese che ha perso il 25 per cento della produzione industriale e il 10 per cento del pil.

 

E con un’ottica d’investimento inversa rispetto al passato che vale la pena studiare: se prima era il pubblico a fare la parte del leone, ora è il privato, la piccola e media impresa, una Cenerentola bella e bistrattata, a essere al centro dell’attenzione degli amministratori di Enasarco. “C’è un venticello per l’economia reale che può essere il vento in poppa del domani”, dice al Foglio Gianroberto Costa, presidente dell’ente previdenziale dal 2016. “Vogliamo cogliere, e per primi, una mela matura: scommettere sulle imprese piccole e medie  che hanno chance di diventare protagoniste del mercato, con i requisiti per fare un salto quantico, e che garantiscono congrui ritorni sull’investimento ai nostri iscritti ai quali dobbiamo assicurare la copertura pensionistica per cinquant’anni. L’obiettivo resta comunque un’adeguata diversificazione tra tutte le classi d’investimento, compresa la parte azionaria e di reddito fisso, mentre l’esposizione all’immobiliare sarà ridotta per la parte meno redditiva e bilanciata da investimenti strategico-infrastrutturali”, dice Costa.

 

Negli ultimi quattro anni Enasarco ha modificato gradualmente ma radicalmente l’allocazione degli investimenti: ha azzerato l’esposizione in titoli finanziari strutturati (1,5 miliardi nel 2007), per cui era stata molto criticata in passato, recuperandone il valore, e parallelamente ha posto in dismissione il patrimonio immobiliare (3 miliardi). Al 30 giugno 2016 il peso degli investimenti in immobili diretti sul totale degli investimenti è del 12 per cento, mentre gli investimenti in fondi immobiliari rappresentano il 32 del totale investito, di cui il 21 riferito a investimenti in fondi immobiliari cui è stato apportato il patrimonio immobiliare invenduto. I nuovi investimenti scelti dalla Fondazione, che da giugno ha un consiglio eletto dall’assemblea e non più nominato per designazione dal ministero del Lavoro, sono prevalentemente in private equity, fondi azionari e obbligazionari, corporate bond, titoli di stato (l’esposizione è stata ridotta dal 10,4 al 4,2 per cento nell’ultimo biennio a causa di scarsi rendimenti per via dei tassi d’interesse quasi a zero).

 

I nuovi investimenti pesano sul totale del patrimonio per il 38 per cento (a cui si aggiunge una disponibilità liquida da investire pari al 18 per cento). Per decisione collegiale del consiglio di Enasarco – diventata Fondazione con la privatizzazione degli enti pubblici previdenziali – ha investito oltre 260 milioni in fondi di private equity che sono concentrati sull’Italia e che, a loro volta, hanno investito oltre 1,7 miliardi nell’economia italiana da quando hanno iniziato l’attività. “Il mercato obbligazionario privato è asfittico, mentre nell’azionariato ci sono già attori protagonisti che non hanno bisogno di capitali. Noi – dice Costa – vogliamo investire in aziende che non sono quotate ma che necessitano di capitali per crescere. Lì intendiamo dare un contributo: se l’economia non funziona nemmeno la nostra categoria degli agenti di commercio e dei consulenti finanziari, che vivono delle intermediazioni d’affari, avrà dei guadagni e se i giovani non hanno lavoro non riusciranno a essere del tutto indipendenti dalle passate generazioni”.

 

Le oltre venti aziende che hanno beneficiato degli investimenti di Enasarco hanno prodotto nel 2014 un fatturato da 2,941 miliardi di euro e impiegano 8.590 persone. Le principali operano nei settori abbigliamento (Navigare, Silvian Heach, Autre Chose, Arav fashion), commercio al dettaglio (Bimbo Store, Pitta Rosso), alimentare (Forno D’Asolo, La Scoiattolo, Ham), ristorazione (Rosso Pomodoro, Ivs), farmaceutica (Sifi), sistemi di riscaldamento (Ravelli), fonica (Fine Sounds), investment banking (Banca Profilo). “Abbiamo avuto un comportamento pionieristico – dice Costa – sia in termini di logica d’investimento sia intermini di etica degli investimenti. Chiediamo ai nostri partner forti garanzie per non intraprendere affari che anche a valle possano finanziare settori bellici, conflitti, o criminali. Confidiamo che anche gli altri fondi previdenziali e similari ci seguiranno in questa missione di sostegno all’economia reale, passando da una logica classica, sul reddito fisso ad esempio, a una logica proattiva, sulle imprese private, dato che nel complesso gli enti previdenziali riuniti nell’associazione Adep dispongono di un patrimonio di 73 miliardi di euro (oltre 215 miliardi con i fondi pensione)”.

 

“Basta uno sforzo per permettere che le imprese si capitalizzino, per dare una forte mano e per soddisfare l’interesse comune e collettivo per la ripresa. Servirebbe anche una regia governativa per dirci dove sarebbe utile concentrare i nostri sforzi purché, ovviamente, non si intenda salvare delle aziende periclitanti ma al contrario aiutare imprese promettenti”. I fondi pensione non hanno voluto partecipare al fondo Atlante per ricapitalizzare e gestire le principali banche venete e comprare crediti deteriorati. Era d’accordo? “Non possiamo fare finta che l’economia reale non sia anche il sistema bancario però non dobbiamo investire in salvataggi, non sarebbe un investimento che fa per noi, il nostro ruolo funziona quando si cresce e non serve per mallevare le colpe altrui del passato – in caso contrario non lo escludo. Abbiamo degli obblighi sociali e normativi che ci impongono di garantire la pensione”, dice. “Dopodiché abbiamo colto delle opportunità nella ristrutturazione bancaria: abbiamo fatto il primo investimento in crediti deteriorati cartolarizzati, potendoli scegliere – perché non sono tutti uguali – attraverso il fondo Algebris di Davide Serra, che ci ha garantito un investimento positivo”.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.