Tutti i numeri e i motivi che fanno precipitare un'Alitalia senza comandante
Perché la situazione è così critica? E perché il taglio dei costi è necessario ma non sufficiente? Cosa preoccupa della compagnia aerea tricolore
Roma. L’uscita di James Hogan come amministratore delegato del gruppo aereo emiratino Etihad era annunciata da tempo. Tuttavia la conferma arrivata ieri non solo complica i piani di rilancio di Alitalia, ma rischia di rendere la situazione ancora più caotica. Gli errori commessi dall’ad del vettore di Abu Dhabi sono stati diversi e il settore aereo non perdona: in particolare l’avventura europea di Etihad, costata al gruppo oltre un miliardo di euro, è stata la causa scatenante di questo cambiamento al vertice. Alitalia forse è l’esemplificazione migliore di come sia stata attuata la strategia sbagliata e di come l’ultimo piano industriale – ancora sotto revisione da parte dell’ennesimo consulente – rischi di portare la compagnia italiana dritta verso il fallimento. I soldi immessi dalle banche durante le festività natalizie rischiano infatti di finire presto, dato che nel primo trimestre le perdite di Alitalia potrebbero avvicinarsi ai 200 milioni di euro. Oltretutto l’amministratore delegato della compagnia italiana, Cramer Ball, fortemente voluto dallo stesso Hogan meno di un anno fa, è oramai in bilico. Gli azionisti di maggioranza, i famosi soci italiani con le banche in testa, non sopportano più gli errori commessi da Etihad e vorrebbero riprendere in mano la situazione.
Ma perché la situazione è così critica? In primo luogo c’è un’incertezza totale proprio sul lato azionisti. Lo scontro è totale e la mancanza di certezze in Etihad si rifletterà nel breve periodo anche su Alitalia. Se Hogan è in uscita, quale sarà la strategia di Abu Dhabi nei prossimi mesi? Se il piano di Cramer Ball è sotto revisione per l’ennesima volta, come è possibile credere in un futuro per il vettore italiano? I dati sono poi davvero tragici, dato che Alitalia potrebbe avere perso tra il 2015 e il 2016 oltre 800 milioni di euro. La cassa è vuota e il primo trimestre dell’anno è quello dove tutte le compagnie soffrono per la stagionalità del settore aereo. E’ solo un problema di costo quello che sta strangolando il vettore italiano? Sono sufficienti i 160 milioni di euro di tagli preannuniciati nel Consiglio di Amministrazione dell’altro ieri? Le voci di costo di Alitalia, al netto del personale, raggiungono circa i 2,9 miliardi di euro e dunque un taglio pari a 160 milioni di euro equivale a circa il 6 per cento. Tali tagli sono ancora da raggiungere e bisognerà vedere se nella trattativa con i fornitori la compagnia aerea avrà forza contrattuale. I costi di Alitalia sono stimati essere intorno ai 6,5 centesimi di euro per posto chilometro offerto, vale a dire circa 65 euro per mille chilometri per ogni singolo posto offerto. Ryanair ha dei costi di circa 3,5 centesimi, mentre Easyjet dichiara dei costi di 6 centesimi di euro. Alitalia dunque è poco più costosa di Easyjet, mentre non riesce a competere con Ryanair, ma c’è da dire che il vettore italiano registra dei costi più bassi alla low cost di Lufthansa, Eurowings (8 centesimi di euro).
Dove risiedono allora i problemi di Alitalia? Perché il taglio dei costi è necessario ma non sufficiente? Alitalia ha una struttura di network troppo debole, dato che è rinata con una “Fenice” concentrata sul mercato italiano ed europeo. Solamente il 10,4 per cento dei passeggeri erano intercontinentali secondo il bilancio 2015, mentre quasi il 90 per cento Alitalia trasportava i propri clienti in Italia ed in Europa. Tuttavia sulle rotte europee la concorrenza è fortissima e gran parte dei vettori tradizionali perdono soldi su queste tratte. Per tale ragione era necessario concentrare il business sul mercato intercontinentale, ma ormai è troppo tardi. Alitalia ha un network troppo piccolo e i tagli porteranno a ridurre ancora il feederaggio su Roma Fiumicino. Il load factor sul lungo raggio è già ridotto al 76 per cento (gli aerei sono riempiti per tre quarti), mentre AirFrance-Klm registra circa 10 punti percentuali in più. Nel corto e medio raggio Alitalia ha un tasso di riempimento del 75 per cento, vale a dire quasi 20 punti in meno di Ryanair e Easyjet. Alitalia ha dei ricavi per posto chilometro offerto addirittura più bassi di Easyjet e Vueling. Avrebbe bisogno di sviluppare il proprio network e riempire maggiormente i propri aerei, ma ormai è troppo tardi per questa strategia standalone. Etihad sembra averlo compreso bene e per tale ragione sta probabilmente cercando un accordo con Lufthansa. L’uscita di Hogan potrebbe essere un po’ la svolta, ma ancora non è chiaro quale possa essere il ruolo dei soci italiani. Alitalia è dunque senza una strategia, con numeri preoccupanti e soprattutto senza quella calma tra i soci che servirebbe alla compagnia in questo momento.