La globalizzazione statistica costa cara alla Cina

Maurizio Sgroi

La revisione dei criteri ha classificato come debito estero ciò che prima non era

Roma. Nulla è più relativo del dato economico, convenzione statistica assai più che quantità reale e perciò sfuggente e solitamente incompreso. Perciò accade, e accade di frequente, che il dato muti al mutare dei pensieri che lo esprimono, con ciò provocando fraintendimenti e talvolta notevoli problemi. Il caso del debito estero cinese riportato nell’ultimo International debt statistics della Banca mondiale, lo illustra con chiarezza.

 

L’amministrazione cinese, la State administration of foreign exchange, (Safe) ha deciso di migliorare la qualità e la trasparenza delle statistiche del proprio debito estero (dal che si deduce che prima i dati fossero scadenti e opachi) aderendo agli standard internazionali, gli Special data dissemination standard (Sdds). 

 

Un altro passetto della Cina verso la globalizzazione, stavolta statistica, preludio necessario all’ingresso del paese nel club dei paesi che contano. Non a caso solo nel 2015 il Fondo monetario internazionale ha concesso l’inserimento dello yuan cinese nel paniere per il calcolo del valore dei suoi Sdr, i diritti speciali di prelievo, ossia la moneta-conto del Fmi. La revisione dei criteri statistici ha classificato come debito estero ciò che prima non era, modificando sostanzialmente anche la posizione degli investimenti internazionali (International investment position, Iip). 

 

Il risultato è che la Cina d’improvviso, ha scoperto di avere assai più debiti esteri, sia a lungo che a breve termine. Nel 2014, secondo i dati raccolti dalla World bank, il debito esterno rivisto ammontava a quasi 1,8 trilioni, che sono 1.800 miliardi, aumentato dell’85 per cento rispetto al dato pre-revisione, di cui il 70 per cento era a breve termine. Ovviamente è tutta la struttura del debito a esser peggiorata: il rapporto debito/GNI e quello fra debito/esportazioni sono arrivati al 17,2 e al 64 per cento dal 9,3 e 34,8 per cento. 

 

 

Il dato è lievemente migliorato nel 2015, portandosi a circa 1,4 trilioni, dei quali il 65 per cento a breve termine, il 12 per cento con garanzie statali e il restante 23 per cento privato. Ma il 2015 è anche un anno di notevoli deflussi esteri, come se gli investitori si fossero improvvisamente accorti della rischiosità dei loro prestiti alla Cina. Il revisionismo sovente costa caro. Quello del debito sempre. 

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