Il sovranismo da caffè contro Starbucks è di moda anche in Via Solferino
Editorialisti indignati: "E' un'umiliazione per gli italiani"
Roma. Accadono cose apparentemente marginali e insensate che però riescono a spiegare alla perfezione questa fase dadaista della società italiana. Tipo quando le palme e i banani in piazza Duomo diventano un caso politico, occupano le prime pagine dei giornali e le aperture dei tg, con aspiranti statisti come Matteo Salvini che dichiarano “mancano scimmie e cammelli e poi avremo l’Africa in Italia. I clandestini, del resto, già ci sono” e patrioti che di giorno sfilano in corteo contro “l’africanizzazione” e di notte incendiano gli alberi. Howard Schultz, il ceo di Starbucks, che ha sponsorizzato quel giardino per lanciare l’ingresso della catena americana di caffetterie a Milano e nel mercato italiano, ha detto in un’intervista al Corriere della Sera che “pensavamo di offrire qualcosa di bello alla città. In questo caso Starbucks è finita dentro un problema di tipo politico”.
In realtà è finita in qualcosa di più ampio, di difficile definizione, ma che somiglia a un delirio collettivo. La questione è grave (ma non seria), soprattutto perché i vaneggiamenti sovranisti si manifestano anche al di fuori dei confini del salvinismo, ad esempio sulla homepage del progressista Huffington Post, dove il titolo di apertura presenta lo sbarco di Starbucks a Milano come una “minaccia al caffé italiano e agli alberi milanesi”. Oppure sul giornale della borghesia milanese e italiana di via Solferino, dove l’apertura della caffetteria americana viene vissuta come una Caporetto: “Starbucks in Italia, umiliazione per un italiano”, scrive nella rubrica delle lettere sul Corriere della Sera l’affermato editorialista Aldo Cazzullo. “In linea di massima sono favorevole alle nuove iniziative, a maggior ragione se creano posti di lavoro. Ma l’apertura in Italia di Starbucks come italiano la considero un’umiliazione”, dice Cazzullo ai lettori secondo i quali la crociata contro Starbucks è esagerata e un po’ ridicola.
E invece no, perché Starbucks con il suo “italian sounding” e il suo potere finanziario rischia di distruggere i “veri produttori italiani”. Ma l’orgoglio patrio potrà fermare l’invasore sulla linea del caffé: “Sono convinto che, pur essendo il popolo più esterofilo, gli italiani continueranno a preferire il tradizionale espresso in tazzina rispetto a quello nei bicchierini di plastica”. Anche perché l’accerchiamento straniero arriva attraverso l’attacco su due fronti, quello delle imprese e quello dei lavoratori. “Sono però curioso – conclude Cazzullo – di vedere quanti dei 350 posti di lavori annunciati a Milano andranno a giovani italiani, e quanti a giovani immigrati”. C’è tutto il repertorio autarchico del sovranismo che ora va per la maggiore: le multinazionali che distruggono le imprese (i veri produttori italiani), la globalizzazione che minaccia la nostra identità e i nostri valori (l’espresso in tazzina) e gli extracomunitari che rubano il lavoro a chi più ne ha bisogno (i giovani italiani). Niente di nuovo, tutte cose che si sentono ogni giorno al bar davanti a un bianchetto o in televisione davanti a Salvini. Sorprende invece che nel salotto della borghesia illuminata una riflessione sul caffé degeneri in un discorso da bar. E sconcerta che il gestore dello spazio non sia un salviniano, ma un giornalista serio come Cazzullo. Segni dei tempi.