Presagio olandese
Perché il dramma dell'Olanda può essere una “bolla”, ma ha già portato guai nella Banca centrale europea
Roma. L’Olanda è carica di cattivi presagi per chi ancora ha l’ardire di credere nei corsi e ricorsi storici dell’economia e della politica. La rivolta studentesca che avrebbe portato al Sessantotto è cominciata ad Amsterdam con due anni di anticipo, nel 1966. Wim Kok, primo ministro laburista eletto nel 1994, ha aperto la strada a quella “terza via” che sarebbe poi stata incarnata da Tony Blair e Gerhard Schröder nel resto d’Europa. La prima bocciatura al Trattato costituzionale europeo è arrivata in Olanda, nel 2005. Senza dimenticare che fu lì che, nel diciassettesimo secolo, s’ingrossò la prima bolla finanziaria di rango “mondiale”, quella dei “tulipani” (foto sotto): i bulbi venuti dalla Turchia erano un “must have” per l’aristocrazia europea del quale la prima banca continentale, il Monte dei Paschi, approfittò inventando gli antenati dei derivati (strumenti di copertura sugli acquisti dei tulipani che nel frattempo erano arrivati a costare cifre enormi). Poi la bolla, grande quindici volte la ricchezza d’Europa, esplose e investì molti, ma non il Monte che aveva ricevuto in garanzia dagli speculatori terre e proprietà, e le riscattò arricchendosi. Non c’è dunque da stupirsi se un evento incredibile come l’ascesa di Geert Wilders, leader del partito nazionalista anti islamista e anti europeista, attiri l’attenzione di economisti e politologi, come i medici studiano una malattia esotica.
I mercati però sembrano tranquilli. Non considerano Wilders una vera minaccia, difficilmente formerà un governo. Il suo anti europeismo, con relativa minaccia di lasciare l’Unione europea se sarà eletto, è depotenziato dai sondaggi demoscopici: il numero di olandesi a favore di euro e Unione europea è ben sopra la media europea, secondo l’Eurobarometro della Commissione. Il differenziale tra titoli di stato olandesi e tedeschi (lo spread) si era allargato a novembre, ma poi è tornato nella norma. Certo non come in Francia, dove la prospettiva di una vittoria di Marine Le Pen ha messo in grande agitazione un termometro del rischio politico, qual è lo spread appunto. Le elezioni olandesi potrebbero essere meno importanti di quanto ci si aspetta? Forse.
Tuttavia non passano inosservate alla Banca centrale europea. Per il presidente della Bce, Mario Draghi, “l’unità è la chiave per la sicurezza continentale”, come ha detto in uno storico discorso a Lubiana (Slovenia) il 2 febbraio. Un ritorno dei nazionalismi e della ragion di stato – non solo in Olanda ma anche in Francia e in Germania – sono infatti potenzialmente dannosi per il progetto europeo, e soprattutto per le tecnocrazie che lo animano. Ed è in questa brodo che stanno riemergendo divisioni all’interno della Bce tra due opposte fazioni, scriveva ieri il Wall Street Journal. Una incline a sposare il pensiero di Draghi che tende a evitare esiti drammatici nelle tornate elettorali europee. L’altra vicina al pensiero del capo della Bundesbank Jens Wiedmann che invece chiede una riduzione degli stimoli monetari, in corso dal 2012, che stanno facendo aumentare il livello di inflazione nell’Eurozona, soprattutto in Germania, e si oppone al presidente.
A fine 2016 Klaas Knot, presidente della Banca dei Paesi Bassi, membro del consiglio direttivo Bce (che anche oggi si riunisce per discutere la politica monetaria), si era espresso sulla linea tedesca e aveva chiesto ai Parlamentari di condurre un dibattito sulla politica dell’Eurotower. Un simile cicaleccio non è edificante per l’unica istituzione europea credibile per i mercati. Gli investitori sono confusi, cercano di capire quando e come gli acquisti di titoli pubblici (Quantitative easing) termineranno, probabilmente dall’anno prossimo. Ma l’emergere di posizioni divergenti dà l’idea che la Bce non decida sulla base di dati economici circostanziati – e l’economia dell’Eurozona è nel complesso in ripresa – ma secondo inclinazioni politiche. Il presagio olandese ha già portato guai a Francoforte.