Alessandro Profumo (foto LaPresse)

Ipotesi dietro la controversa nomina di Profumo in Leonardo

Renzo Rosati

"Cosa c'entra un banchiere con l'ex Finmeccanica?", si chiedono molti. Magari la risposta sta nell'idea di "privatizzare" Cassa depositi e prestiti

Roma. Al primo giudizio della Borsa l’arrivo a Leonardo (ex Finmeccanica) di Alessandro Profumo non è stato accolto da un applauso: 3,5 punti di perdita, a fronte di un listino in minimo calo, la performance peggiore delle aziende oggetto delle scelte del Tesoro di sabato scorso. “Un banchiere alla guida di un conglomerato industriale” è il refrain delle critiche politiche, dai grillini al centrodestra (Renato Brunetta chiede a Pier Carlo Padoan di spiegare in Parlamento criteri e curriculum); mentre gli analisti finanziari sono più cauti: Mediobanca conferma il consiglio di sovrappesare il titolo, Barclays di inserirlo in portafoglio, Kepler Cheuvreux di tenerlo, Vincenzo Longo di Ig Markets dice a Bloomberg di “faticare a vedere come chi ha trascorso la vita nel mondo bancario possa migliorare le prospettive di Leonardo tornata competitiva dopo la ristrutturazione di Mauro Moretti”.

 

Contrariamente ai gossip però la sorte di Moretti non l’ha decisa Matteo Renzi, del quale Profumo non è né affine (come invece il nuovo ad di Poste Matteo Del Fante) né antipatizzante, mentre certo non è mai stato distante dalla storia e dalle primarie del Pd, in era però Romano Prodi. Determinanti sono stati Paolo Gentiloni, Padoan e Sergio Mattarella dopo la condanna di Moretti per il disastro ferroviario di Viareggio. Quanto alla matrice bancaria di Profumo, c’è chi ricorda che un certo Sergio Marchionne ha salvato la Fiat provenendo dal mondo finanziario svizzero, senza alcuna esperienza del prodotto auto. Resta però il fatto che a differenza degli anni ruggenti di Unicredit, quando ne ampliò a dismisura il perimetro internazionale facendone la prima banca italiana, Profumo dovrà ora attenersi alle linee-guida del Tesoro, azionista al 30 per cento, in un’azienda, Leonardo, tornata sì all’utile nel 2016 ma anche con ordini ridotti (meno 7,6 per cento), causa calo delle commesse di elicotteri. Situazione non molto diversa dalla sorella pubblica Fincantieri (a questo giro non interessata dalle nomine). Soprattutto le aziende pubbliche continuano a essere un ibrido azionario e un patchwork strategico, disordinato: delle maggiori, Enel, Poste, Leonardo e Enav hanno le quote di controllo in mano al Tesoro; Eni, Terna, Snam, Fincantieri e di nuovo Poste alla Cdp. Nel frattempo il piano privatizzazioni necessario a ridurre il debito pubblico (pure come segnale di inversione di tendenza, all’Europa e ai mercati) si è bloccato.

 

Dal ministero dell’Economia è filtrata l’idea di cedere una quota del 15 per cento di Cdp, dove il Tesoro ha oltre l’80 e in resto è in mano alle fondazioni bancarie. Apriti cielo: le critiche sono arrivate sia dai nostalgici dello statalismo, che ora vorrebbero riprendersi l’Alitalia, sia da alcuni liberisti, secondo i quali un incasso di 5 miliardi è poca cosa rispetto alla strategicità dello scrigno della Cdp: energia, reti, risparmio postale. Qualcuno ignora che il 70 per cento di Eni e il 30 di Poste sono già sul mercato. Così come anche il 70 di Leonardo, con il 50,4 per cento di investitori istituzionali, fondi e banche, e di questi la maggior parte in nord America. Trasferire tutte le quote aziendali del Tesoro dentro la Cdp e poi privatizzare parte di quest’ultima, con un piano cadenzato (15 per cento a breve, altre due-tre tranche simili nei prossimi anni), lascerebbe il controllo saldamente al Tesoro, non intaccherebbe l’interesse nazionale né per la difesa né per il risparmio gestito, e abbatterebbe subito il debito di oltre il doppio dei 5 miliardi ipotizzati, con eguali previsioni future. Un potente segnale ai mercati e alle istituzioni europee. In un quadro simile la nomina del banchiere Profumo ai vertici di Leonardo, vista come asset finanziario da valorizzare, un senso lo avrebbe, eccome. E darebbe una svolta al tristissimo genere letterario delle “partite delle nomine”.