La notizia della morte delle banche italiane è stata ampiamente esagerata
Dopo riforme, stampelle e l’aumento di Unicredit, i problemi del sistema bancario sono seri ma ben circoscritti. E i titoli recuperano in Borsa
Roma. Con Piazza Affari che ieri si è difesa tra le Borse europee, a puntellare il listino sono state le azioni bancarie con rialzi in alcuni casi a un soffio dai massimi storici come per Intesa Sanpaolo, o utili a consolidare performance da inizio anno del 30 per cento, come per Ubi. Altri due titoli del credito, Banco Bpm (azienda nata il primo gennaio con la fusione tra Banco popolare e Popolare di Milano) e Bper (già Popolare dell’Emilia-Romagna) hanno a un certo punto segnato aumenti superiori al 4 per cento: si tratta di istituti che hanno sfruttato al meglio la riforma delle banche popolari e cooperative, cioè trasformazione in società per azioni e rafforzamento del capitale.
Anche Unicredit è in ripresa dal minimo annuo di fine febbraio, quando c’era incertezza sull’aumento di capitale da 13 miliardi, e dal minimo storico del 7 luglio 2016, susseguente alla vacanza di potere tra la defenestrazione dell’ad Federico Ghizzoni e l’arrivo di Jean Pierre Mustier. Storie differenti ma tutte, a loro modo, virtuose. Questo a ridimensionare l’idea che siano state ancora una volta le direttive europee a determinare l’andamento del settore. Dalla Banca centrale europea sono sì arrivati aggiornamenti delle linee guida per i crediti deteriorati (non performing loans, npl), che sostanzialmente concedono più tempo per lo smaltimento; ma, come spiega una prima analisi di Mediobanca Securities, all’elasticità temporale si accompagnerà ora un esame qualitativo sugli npl delle singole banche in rapporto alla solidità patrimoniale e alla credibilità dei piani di risanamento. Nell’Eurozona la massa di npl è stimata in 921 miliardi, in prevalenza percentuale di Grecia e Cipro e poi di Portogallo e Irlanda. In assoluto l’Italia ha un quarto delle sofferenze lorde, e secondo la Bce anche il governo dovrebbe fare di più, semplificando il quadro giuridico (a cominciare dai pignoramenti), con sgravi fiscali per lo smaltimento degli npl e incoraggiando le banche a concedere bonus mirati ai funzionari più attivi su quel fronte. Il tutto però evidenzia come anche l’industria bancaria italiana sia al giro di boa: quella che pochi mesi fa veniva raccontata come una crisi sistemica sta lasciando il posto alla divisione tra banche migliori e peggiori, ovvero tra manager capaci e non.
A luglio 2016 l’Economist mise in copertina una vecchia corriera dipinta di bianco, rosso e verde in bilico sul ciglio di uno strapiombo. Titolo: “The Italian Job”, come il non memorabile film ambientato a Venezia con Charlize Theron, Edward Norton e le spericolate Mini Cooper. La tesi del settimanale londinese era che quella bancaria italiana sarebbe stata “la prossima crisi” d’Europa, il che avrebbe distrutto la moneta unica. Di più: se le regole del bail-in avessero continuato a impedire al governo di effettuare i salvataggi pubblici già concessi ad altri paesi, i populismi di ogni tipo avrebbero avuto il sopravvento anche in politica.
Ora si vedono i “vincenti” e i “perdenti”
L’Economist ci ha azzeccato parzialmente, più nella forma che nella sostanza. Le “banche ladrone” e il “risparmio tradito” sono diventati cavalli di battaglia del M5s, della Lega formato Salvini e dei sovranisti vari, quasi che la cattiva gestione dei crediti fosse stata ordita dalla Spectre anziché opera di disinvolti amministratori “del territorio”. Ma il ricambio e il rafforzamento dei management, il ridimensionamento del potere delle fondazioni, e l’apertura al mercato simboleggiata dall’aumento record di Unicredit, oltre alla riforma delle popolari entrata a regime (ma osteggiata proprio da grillini e leghisti come “furto dell’Europa”), ha rivelato che più che di sistema la crisi era di governance e di prodotto. Molti problemi restano, ma circoscritti: le popolari venete, Mps, destinatarie di aiuti pubblici. Che si spera limitati, remunerati e sottoposti a logiche di mercato più che di piazza e sindacato.