Def e Privatizzazioni: quel piano per una super-Cdp
Quanto può valere per la Cassa depositi e prestiti il trasferimento delle partecipazioni statali allo studio in Via XX settembre
Roma. Inconseguente. Elusivo. Vago nelle misure quanto insufficiente nei parametri dimensionali (15 miliardi in tre anni). Sono questi i termini del giudizio valoriale da attribuire al piano di privatizzazioni incluso nel Documento di economia e finanza. Senonché va riconosciuto che del materiale programmatico è stato pure inserito: e ciò sebbene sulla questione si veniva creando uno spirito da “congiura dei pazzi” in seno alla maggioranza. Un’impalcatura tecnica, occorre dirlo, è stata in certo modo determinata. Una linea di azione di concerto con la Cassa depositi e prestiti, nel solco di quanto già si fece con Poste: trasferendone il 35 per cento dal ministero dell’Economia alla Cdp, in un’operazione che si configurò come un aumento di capitale riservato da 2,9 miliardi di euro.
Una volontà programmatica, e una condivisione d’intenti – quella con la Cassa – che trova una sua giustificazione ideale, in sede storica, nelle remote esigenze di un radicale mutamento nelle strategie di politica industriale del paese; in un’oramai impellente ricerca di maggiore efficienza gestionale. Si agì dunque su Sace, Simest e Fintecna (2011): trasferendone la titolarità dal Mef alla Cdp, nell’ambito di una razionalizzazione dell’assetto industriale, per un controvalore di circa otto miliardi di euro.
L’ipotesi, ben congegnata, che una maggiore integrazione con le molteplici attività della Cassa – trasformata frattanto in Spa e privatizzatane una quota di minoranza (30 per cento), deconsolidandone di fatto il passivo fuori dal perimetro del debito pubblico; nell’ipotesi, si diceva, che potessero venire ad essere sfruttate le sinergie potenziali con le attività delle agenzie statali. Tale strategia segnò forse la strada per l’immediato avvenire. Il modus operandi più appropriato in una fase storica – quella attuale – che si caratterizza per un’assenza sostanziale di un’ampia volontà politica: necessaria a un piano organico di dismissioni.
Una logica di integrazione che trova la sua ragion d’essere – in sede programmatica – nelle incertezze governative e nell’amletismo affatto evidente delle forze politiche sulla questione. Un’operazione che se riproposta per le altre società quotate la cui titolarità risieda ancora in capo al mef: Enav (53,37 per cento), Enel (23,58), Eni (4,34), Leonardo (30,2), Poste (29,26) – metterebbe in luce il vantaggio a doppio fondo di potenziare il patrimonio della Cassa, liberando risorse finanziarie che, al netto dell’assorbimento di capitale, potrebbero essere dispiegate a sostegno della crescita. E ricomponendo d’altra parte quel dissidio ideologico che pare sempre più venire profilandosi fra il governo e una parte non marginale dell’attuale maggioranza che ne avversa i piani di dismissione.
La soluzione tecnica cui si fa riferimento avrebbe il vantaggio di generare per la Cdp un incremento patrimoniale di 13 miliardi di euro (0,6 per cento di pil), al netto dell’assorbimento prudenziale di capitale e della ponderazione per il rischio delle partecipazioni. Risorse, queste, che alla luce delle recenti performance operative della Cassa (rendimento del capitale all’incirca del 7,5 per cento); nonché di una politica di dividendo che giova non poco alle casse dello stato (lo scorso anno Cdp ha distribuito 853 milioni di Euro - 705 milioni attribuiti al Mef - contro un valore di utile netto di 900 milioni); risorse, dicevamo, che troverebbero una loro collocazione ideale. Una creazione invero ex-novo di energie finanziarie impiegate con criteri di grande efficienza gestionale.
Il passo successivo potrebbe poi essere quello di privatizzare un’ulteriore quota di minoranza in Cdp, continuando – si intende – a mantenerne il controllo; ovvero una dismissione selettiva di quelle partecipazioni cui si è fatto sinora riferimento. Gli introiti in tal modo generati avrebbero l’effetto di contribuire ad un incremento dell’avanzo primario, agevolando gli sforzi di contenimento del debito pubblico, rendendolo dunque più sostenibile. Esiste in seno al gruppo Cdp un patrimonio straordinario di competenze manageriali, e un capitale umano di inestimabile valore. Sarebbe una scelta incomprensibile deflettere dai propositi di questo piano, lasciando che quest’opportunità sfumi nel corso dell’attuale legislatura; relegandone la risoluzione all’esecutivo che verrà. L’alternativa, appare evidente, è rappresentata dall'immobilismo.