Fermate lo sceicco!
Così Calenda dimostra l’intento di arginare l’arrembaggio degli avventurieri della crisi industriale
Roma. In quest’ultimo decennio di crisi dell’industria pesante in Italia il fenomeno di “cavalieri bianchi” o “sceicchi” che promettono di salvare imprese periclitanti è diventato rilevante. Spesso ci si fa scudo con la questione occupazionale per tamponare situazioni complesse senza riuscire però a risolverle, con il rilancio o con il fallimento di un’impresa, mascherando finalità speculative di breve respiro con l’immancabile “allarme sociale” per le maestranze a “rischio esubero”. Sono penetrati i più improbabili avventurieri che hanno chiesto e ottenuto la solidarietà dei rappresentanti degli enti locali e di alcuni sindacalisti trasformando siti produttivi in musei di archeologia industriale quando invece avrebbero richiesto investimenti immediati per restare competitivi rispetto alla (ovviamente) implacabile concorrenza internazionale. Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha dimostrato l’intenzione di porre un argine a questa cattiva prassi.
Mercoledì scorso in una riunione al ministero di Via Veneto, Calenda ha denunciato le inadempienze contrattuali della società algerina Cevital del magnate africano Issad Rebrab, che da quasi due anni promette investimenti milionari sulla siderurgia ex Lucchini a Piombino di cui è proprietario attraverso la società italiana Aferpi, coltivando l’ambizione di produrre acciaio in quantità non eccezionale attraverso forni elettrici e di costruire un polo logistico nell’area portuale. Erano stati promessi investimenti fino a un miliardo di euro ma finora sono stati effettivamente versati meno di cento milioni. Rebrab sostiene di non riuscire a portare capitali in Italia in quanto avversato dall’establishment governativo algerino – che ne teme le mire politiche – e ultimamente avanza l’ipotesi di ottenere garanzie dal governo francese per assicurare i finanziamenti promessi inizialmente. Visti i ritardi che hanno motivato le proteste dei lavoratori a inizio anno, Calenda ha minacciato la rescissione del contratto di cessione degli impianti sottoscritto con Cevital nel 2015 dal commissario straordinario della ex Lucchini se non saranno rispettati gli impegni. Per fare pressione il ministro ha chiesto a Rebrab di riconoscere la proroga dell’attività di sorveglianza sulla sua attività da parte del commissario straordinario, Piero Nardi, per altri due anni a partire dalla scadenza naturale a fine giugno. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che è stato sponsor di Rebrab sul territorio e presso le maestranze, ha invece suggerito un’assurda operazione di rappresaglia verso il governo algerino attraverso la minaccia di acquistare minori quantità di gas da quel paese. Senza l’Algeria – che è il secondo fornitore di gas per l’Italia dopo la Russia – i rifornimenti per il mezzogiorno passerebbero in via ipotetica soltanto Libia, un paese sull’orlo dell’anarchia. Rossi era stato il passe-partout di un sedicente imprenditore nordafricano, Khaled al Habahbeh, che prometteva poli alberghieri, resort e rilanci produttivi per la siderurgia piombinese ma si è rivelato spiantato e inseguito dalla Fbi americana per narcotraffico. Ultimamente la stampa locale riferisce di fantomatici interventi della Cassa depositi e prestiti – il solito “polmone d’accaio” di stato – e dell’arrivo imminente di uno sceicco dell’Oman, Nasser bin Mohammed Al Hashar, per produrre supercar a Piombino. Sono altri ballon d’essai. I casi di investitori esteri all’arrembaggio di asset italiani non sono isolati. Nel 2012 un’impresa cinese si era proposta per rilevare gli impianti di produzione di alluminio a Portovesme (Sardegna) messi in vendita dal colosso americano Alcoa. L’ambiziosa Hong Kong Wan Hao International Trading si era poi rivelata una società prestanome con sede in un piccolo negozio di forniture elettriche di Lucca (Toscana). La scottatura dopo il passaggio di un investitore improvvisato o comunque non immediatamente pronto a una ristrutturazione seria e su larga scala lascia cicatrici. L’attesa legittima dei lavoratori per un ritorno alla produzione viene puntualmente frustrata. Il settore automobilistico, architrave della manifattura postbellica e delle esportazioni nazionali, è un crocevia di investitori flosci. Nel 2014 la Metec/Stola di Roberto Ginatta, amico di casa Agnelli, prometteva di rilanciare lo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese con la società Blutec che programmava di produrre auto ibride e di assumere 750 operai entro il 2018 grazie a 290 milioni di investimenti pubblici. Ad oggi sono stati assorbiti 90 operai e i sindacati considerano il progetto ancora in alto mare. L’intervento di Calenda motiva la speranza che gli investitori verranno selezionati con maggiore cura e gli “sceicchi” faranno fatica a offrire miraggi.