La risurrezione di Deutsche Bank e Generali batte le profezie di sventura
Brindare a champagne è prematuro ma si tratta di due esempi da tenere a mente: il mercato senza frontiere e il cosmopolitismo manageriale battono sempre i nazionalismi
Roma. Deutsche Bank e Assicurazioni Generali hanno presentato, il 27 aprile, dati migliori delle attese. La prima firma un bilancio trimestrale in utile di 575 milioni di euro, di 53 superiore al consensus degli analisti e di 339 (oltre il doppio) rispetto al trimestre corrispondente del 2016. Le seconde – in attesa della trimestrale dell’11 maggio che varerà anche “iniziative sempre più nel segno del profitto” come dice l’amministratore delegato Philippe Donnet – annunciano all’Assemblea dei soci un consuntivo 2016 con utili record, sia nel risultato operativo (4,8 miliardi, in crescita dello 0,9 per cento), sia nel risultato netto (2,08 miliardi, più 2,5 per cento), sia nella liquidità netta aumentata del 13,3 per cento ad 1,88 miliardi.
Nell’uno e nell’altro caso non mancano fattori critici – la banca tedesca continua a soffrire la concorrenza dei big di Wall Street nell’investment banking, il settore più profittevole, mentre il gruppo assicurativo italiano soffre nella raccolta premi (meno 3,9 per cento) e nel ramo vita (meno 18,5). Tuttavia, pur facendo business diversi, Deutsche e Generali hanno più di un elemento in comune. Sinteticamente, e in misura differente, siamo di fronte a due casi di “risurrezione”.
Db era addirittura data per spacciata nel 2016, quando la continua erosione del capitale in borsa e l’esposizione a derivati per 48 mila miliardi di euro, 15 volte il Pil della Germania, l’avevano fatta definire nel da un report di giugno del Fondo monetario internazionale “il più rilevante contribuente netto ai rischi sistemici tra le banche di rilevanza globale”. Ne era seguito un affannarsi di annunci e terapie, a cominciare dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble che da una parte cercava di rassicurare i mercati e dall’altra invitava gli industriali tedeschi, in passato sostenuti proprio dalla Deutsche, a contribuire la loro parte.
In Italia, dove i guai di Berlino e Francoforte sono spesso accolti da applausi, non si era fatto in tempo a stropicciarsi le mani quando ecco prima la crisi dell’Unicredit (risolta con l’aumento di capitale record da 13 miliardi), e poi della sua controllata, via Mediobanca, Generali. Il colosso assicurativo triestino, causa incertezze tra gli azionisti e nel management (Donnet si è insediato a marzo 2016) appariva indebolito ed esposto a scorribande straniere, con principali osservate la francese Axa e la tedesca Allianz. Al punto che il Tesoro, anche preoccupato per i 70 miliardi di titoli pubblici italiani che l’azienda ha in portafoglio, aveva effettuato una certa moral suasion (mai confermata) su Intesa, che si era posta come cavaliere bianco tricolore rastrellando il 3 per cento della compagnia; mossa ricambiata in uguale misura, in chiave difensiva.
I guai di Deutsche Bank non sono appunto risolti e come dice l’analista Simon Adamson di CreditSights “la banca ha beneficiato della riduzione da 14 a 5,4 miliardi di dollari della multa del dipartimento di Giustizia americano, asset non strategici come Postbank restano invenduti e la massiccia ristrutturazione non ha ancora generato una strategia di sviluppo”. Tuttavia il ceo John Cryan, un inglese, ha condotto in porto un aumento di capitale da otto miliardi, sottoscritto dai maggiori azionisti anch’essi stranieri: il fondo sovrano del Qatar, i cinesi di Hna, il fondo americano BlackRock. Anche in Generali cresce il peso degli investitori esteri (in prima fila sempre BlackRock) i quali, escluso il flottante, con il 38,9 per cento superano ormai di quattro punti gli italiani del vecchio patto di sindacato (Mediobanca, Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio) e i fondi nazionali. E anche lì c’è alla guida uno straniero, francese come l’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier, altra banca uscita dalle secche attraverso la maxi-ricapitalizzazione.
Brindare a champagne è prematuro. Mentre è corretto salutare l’ennesima dimostrazione che il mercato senza frontiere e il cosmopolitismo manageriale battono sempre i nazionalismi; italiani e tedeschi. Aiutando la tenuta dei rispettivi sistemi finanziari.
tra debito e crescita