Contraddizioni in seno al soccorso (statale y final) per Alitalia
I commissari straordinari non sono così distanti dagli azionisti uscenti che adesso ripudiano l'ex compagnia di bandiera
Roma. Gli investitori che hanno tenuto in vita Alitalia negli ultimi anni, senza riuscire ricavarne profitto, ora ripudiano la compagnia aerea, lasciando allo stato il fardello e il compito di cercare un nuovo “cavaliere bianco”. Il 24 aprile scorso la maggioranza dei lavoratori aveva votato contro il piano di ristrutturazione che era il prerequisito per un salvifico aumento di capitale da 2 miliardi di euro, il più ambizioso da dieci anni, costringendo il governo Gentiloni a una manovra interlocutoria per evitare il fallimento che passa dalla procedura di amministrazione straordinaria.
Nell’ultimo decennio Alitalia s’è sostenuta consumando il capitale investito dai suoi potenziali salvatori come Air France, varie società governative, tra cui Poste Italiane, le principali banche, Intesa Sanpaolo e Unicredit, e da ultimo Etihad che possiede il 49 per cento delle azioni dal 2014. A due anni di distanza la compagnia dell’emirato di Abu Dhabi era positiva sull’operazione – “Alitalia ha una grande storia da raccontare”, disse il ceo James Hogan – ora è all’opposto delusa dall’investimento e non intende spendere altri soldi ma operare solo come partner commerciale. Tuttavia nel 2014 Etihad aveva comprato da Alitalia cinque slot (diritti di decollo e atterraggio) nel principale aeroporto di Londra, Heathrow, per 12 milioni di euro l’uno, mentre il prezzo medio delle compravendite realizzate da altre compagnie nei successivi tre anni è stato di 45 milioni di euro a slot, secondo i calcoli dell’esperto di aviazione Ugo Arrigo.
Intesa Sanpaolo è stata la banca che su richiesta del governo Berlusconi nel 2008 riunì una compagine di imprenditori italiani per salvare la compagnia allora pubblica da un collasso annunciato e propose il piano di rilancio detto “Fenice”, poi rivelatosi fallimentare. Il piano depotenziò il profittevole lungo raggio e l’azienda partì con una quota di aerei in affitto pari al 31 per cento della flotta, un handicap che aumentava i costi fissi. Ora Intesa abdica al ruolo di “banca di sistema”, ovvero di istituto che su impulso della politica puntella società rilevanti o per numero di addetti o per attività considerate strategiche. “Il nostro compito è venuto meno, ci comporteremo da banca e presteremo denaro alle aziende che hanno piani sostenibili”, ha detto ieri il presidente Gian Maria Gros-Pietro. L’istituto ritirerà le carte di credito con il logo Alitalia, secondo Adnkronos. Gli investitori privati dunque si defilano. Sarà il governo a spendere “massimo” 600 milioni di soldi pubblici per guadagnare sei mesi di tempo nel tentativo di cercare un investitore interessato all’azienda sul modello dell’acciaieria Ilva di Taranto. Mercoledì il cda di Alitalia ha appunto chiesto l’amministrazione straordinaria al governo che di conseguenza ha nominato tre commissari ai quali è affidato l’incarico di scovare un potenziale salvatore e ancora prima di consegnare al giudice delegato per la procedura fallimentare una descrizione delle cause e delle responsabilità dell’insolvenza riguardo al management di Alitalia.
Emerge tuttavia la contraddizione per cui il governo non ha scelto persone distanti dagli azionisti uscenti, di cui i commissari dovrebbero invece essere controparte a tutela degli interessi dei creditori e della collettività che garantisce il prestito temporaneo (seppur a tassi superiori al mercato). Luigi Gubitosi, già direttore generale Rai, è stato cooptato nel cda di Alitalia a metà marzo con la prospettiva di diventare presidente operativo in caso il piano di finanziamento avesse avuto successo. Enrico Laghi, docente di Economia e commercialista, già commissario per Ilva, è presidente di MidCo, società di raccordo tra i soci italiani e il socio estero Etihad. Il terzo commissario, Stefano Paleari, già rettore dell’Università di Bergamo, è esperto di aviazione e non ha legami con Alitalia. Le persone saranno navigate – Laghi, ad esempio, ha incarichi in altre 23 società – e indipendenti in quanto pubblici ufficiali, ma è lecito chiedersi se la priorità sia gestire l’azienda, trovare un acquirente e ristorare i creditori o limitare i danni per gli azionisti uscenti. Al loro operato, la sentenza.