Mario Draghi (foto LaPresse)

L'agenda Draghi, le riforme, il voto anticipato. Parlano Daveri e Giavazzi

Luciano Capone

Cosa può fare il nostro paese per correre come il resto dell’Europa?

Roma. La vittoria dell’europeismo riformista di Emmanuel Macron contro il sovranismo protezionista di Marine Le Pen alle elezioni francesi e i dati economici positivi dell’area euro diffusi dalla Commissione europea (pil in crescita dell’1,7 per cento, disoccupazione in calo attorno al 9 per cento) indicano un futuro roseo per l’Eurozona. “Nel 2016, il pil pro capite è cresciuto più rapidamente nella zona euro che in qualsiasi altra economia avanzata importante – ha detto l’altroieri il presidente della Bce Mario Draghi in visita alla Camera olandese – Quattro milioni e mezzo di posti di lavoro sono stati creati negli ultimi tre anni. E la disoccupazione nell’area dell’euro è al suo punto più basso dal maggio 2009”. E’ il trionfo dell’Agenda Draghi che, attraverso le politiche monetarie non convenzionali della Bce, ha permesso prima di superare la crisi economica e poi di battere i populismi anti europeisti nelle varie tornate elettorali.

 

Ma lo stimolo monetario è solo un pezzo dell’Agenda Draghi, gli altri sono – come ricordato nel discorso di Lubiana – le riforme strutturali per rendere l’economia più produttiva e raggiungere una crescita sostenibile. Questo aspetto riguarda particolarmente l’Italia, che finora è stata favorita dalla politica monetaria della Bce, ma che resta fanalino di coda in Europa per la crescita (attorno all’1 per cento). Cosa deve fare l’Italia in Europa per restare agganciata al treno? “Per adesso, anche dopo la vittoria di Macron, in Europa cambierà poco, almeno fino alle elezioni tedesche – dice al Foglio Francesco Giavazzi, economista della Bocconi –. Ma arrivati a ottobre ci sono sul tavolo due problemi di breve periodo che possono essere affrontati anche senza cambiare i Trattati e che riguardano le banche: il Fondo di risoluzione, che va capitalizzato più rapidamente, e i Non performing loans”. Come? “C’è una proposta dell’Eba (Autorità bancaria europea) di mettere questi crediti deteriorati in una scatola europea, che va capitalizzata”. Ma per ottenere questo cosa bisogna fare? “Il miglior biglietto da visita è mettere sotto controllo il debito, invertire la tendenza di crescita degli ultimi anni”. Siamo in tempo? “I tempi non ci aiutano – dice Giavazzi – perché si inizierà a discutere delle cose importanti in Europa a fine anno e quando gli altri si siederanno al tavolo noi saremo in campagna elettorale. Fare una legge elettorale decente e andare a votare in anticipo aiuterebbe”.

 

La vittoria di Macron non cambia molto le cose, restano i “compiti” da fare. “Una delle cose di cui ci accorgeremo presto – dice al Foglio Francesco Daveri, economista dell’Università Cattolica – è che l’Europa non è un tappeto rosso steso di fronte alla nostra politica. Magari un rinnovato asse franco-tedesco porterà a una valutazione più stringente che in passato dell’accoppiata riduzione del debito e riforme strutturali”. Quindi non ci verrà data nuova flessibilità? “Quella è una carta che abbiamo giocato e le riforme fatte, se guardiamo i dati di fatto, non hanno prodotto grandissimi risultati. E’ probabile che ci verrà chiesto maggiore rigore fiscale o riforme che portino a qualche risultato in modo più rapido”. Se dovesse arrivarci una nuova lettera della Bce, cosa ci sarebbe dentro? “Non abbiamo bisogno che ci venga scritta una lettera – dice Daveri – perché la sostenibilità del debito adesso è migliore del 2011 e poi perché già sappiamo cosa dobbiamo fare: sistemare le banche, riformare la Pa e il diritto fallimentare, tenere i conti in ordine già con la prossima legge di stabilità”. Siamo però a fine legislatura e il rischio è che la legge di stabilità sia rivolta più alla campagna elettorale che ai conti. “Per questo, forse sarebbe meglio votare prima e poi fare la legge di stabilità, ma in ogni caso serve una coalizione ampia che si impegni a realizzare queste riforme. La richiesta di protezione è forte e fare un’Agenda Macron da noi è forse più difficile, ma si spera che qualche leader politico se ne voglia fare carico”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali