L'affaire Boschi-Unicredit è una unica grande "non-notizia"

Carlo Torino

Quali sono le ragioni che nei fatti destituiscono l’impianto accusatorio di qualsiasi presupposto logico? Eccole

La polemica relativa all’affaire Boschi sta assumendo dei toni a dir poco surreali, e mette in luce una torbida volontà di strumentalizzazione da parte di talune forze di opposizione che vorrebbero tramutare illazioni prive di valore documentale – e come vedremo, prive di fondamento logico – in elementi di lotta politica. Ma vediamo dunque quali sono le ragioni che nei fatti destituiscono l’impianto accusatorio di qualsiasi presupposto logico. In primo luogo, con la risoluzione dei quattro istituti in crisi, nel novembre del 2015 – tra i quali Etruria – per opera della Banca d’Italia di concerto con il governo Renzi, si riconosceva a quelle banche un qualche valore “sistemico”, o comunque una forte importanza territoriale. In caso contrario – secondo il testo della normativa europea, Brrd – l’Autorità di supervisione bancaria avrebbe dovuto procedere con la liquidazione. Il processo di “risoluzione” prevede infatti una forma di continuità delle attività (come di fatto è avvenuto con la separazione tra le banche ponte e la bad bank) per le istituzioni in crisi, al fine di limitare l’impatto sociale sul territorio.

 

Ciò detto, se i fatti inerenti alla ricostruzione di FdB risalgono al 2015, si può escludere che il sottosegretario Boschi avesse potuto esercitare una qualsivoglia forma di pressione su Ghizzoni. Era infatti troppo tardi. La Banca d’Italia aveva già posto in Amministrazione straordinaria la Banca Etruria, commissariandone i vertici nel 2014. Già dal 2012 inoltre veniva a protrarsi un ciclo ispettivo, che avendo rilevato gravi irregolarità nella contabilità delle partite deteriorate, evidenziava sostanziali carenze patrimoniali. Che cosa avrebbe potuto chiedere l’allora ministro al numero uno di Unicredit? Una banca in quelle condizioni di dissesto, e per di più di forte rilevanza territoriale, non avrebbe potuto essere venduta senza il previo parere delle autorità di vigilanza nazionale ed europea (il Meccanismo unico di vigilanza), ed eventualmente anche della Commissione. A quell’epoca, nel 2015, i giochi si erano conclusi, e rifiutando Etruria una proposta originaria di aggregazione alla Popolare di Vicenza, aveva di fatto segnato il proprio destino. Non v’era nulla che il ministro potesse fare intercedendo presso Ghizzoni, a favore degli azionisti della banca; i quali, pur volendo presupporre un subitaneo impeto francescano di Unicredit, avrebbero comunque visto il valore del loro investimento completamente azzerato. E ciò è spiegato dal fatto che qualsiasi iniezione di capitale, in quel particolare stadio del ciclo di vita della banca, avrebbe presupposto necessariamente una preventiva svalutazione dei prestiti deteriorati. Torno dunque a domandare: che cosa avrebbe potuto chiedere Maria Elena Boschi a Federico Ghizzoni, nel 2015 con l’epilogo di questa scabrosa vicenda ormai già noto? O forse si vuole lasciare intendere che la sottosegretaria avesse ordito un piano che contemplasse un “sacrificio” di Unicredit, al quale Ghizzoni si sarebbe poi prestato, ripatrimonializzando Etruria senza svalutare i deteriorati; e salvando in tal modo il valore degli azionisti? Ipotesi originale, trama non priva di fantasia, ma del tutto irragionevole. L’operazione sarebbe stata senz’altro bloccata da Bankitalia, Bce o Commissione. A partire dal 2012 non vi era una sola banca d’affari che operasse ancora in derivati con Etruria. Dal 2013 in poi le relazioni erano state completamente chiuse per via dei rischi reputazionali connessi. Il mercato era ben cosciente dei problemi di Etruria, e il prezzo del titolo in Borsa (poi sospeso) rifletteva bene le condizioni di dissesto patrimoniale. La Banca d’Italia nel 2014 avrebbe posto l’istituto in amministrazione e aperto il sentiero verso la risoluzione, d’intesa con le autorità europee. Quale oscuro potere si vuole che il ministro potesse esercitare? Quale picaresca quanto illogica operazione sottobanco si vuole che ella potesse contemplare d’intesa con Unicredit? Lasciamo che queste sublimi sceneggiature trovino una loro naturale collocazione nei generi letterari e cinematografici di maggiore impatto emozionale; ma tramutarle in elementi di confronto politico è francamente di cattivissimo gusto.

 

Carlo Torino è un consulente finanziario, ex Goldman Sachs securities

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