Le bugie del M5s sul reddito di cittadinanza
Il 20 maggio il Movimento marcerà da Perugia ad Assisi per promuovere l'introduzione di questa misura. Ma quando dice che “ce lo chiede l'Europa” mente
Se il Movimento 5 Stelle è riuscito ad imporre nel dibattito pubblico nazionale una sua proposta economica questa è certamente il “reddito di cittadinanza”. Depositata da anni in Parlamento, rappresenta la priorità per il movimento fondato da Beppe Grillo, seppur presenti diverse criticità tecniche come sottolineato su Il Foglio da Luciano Capone. Tanto che dal 2015 – per sottolineare la sua valenza francescana– il Movimento organizza una marcia per promuoverlo, di 24 chilometri da Perugia ad Assisi. Marcia che tornerà anche il prossimo 20 maggio: da giorni il Blog sta pubblicizzando l’evento con brevi video come questo, in cui Isabella Adinolfi e Laura Agea – due eurodeputate – affermano: “Da 7 anni l’Europa chiede all’Italia di garantire il reddito di cittadinanza agli italiani che non raggiungono la soglia minima di povertà ma i partiti italiani continuano a ripetere che non si può fare, come se vivessero fuori dal mondo o semplicemente fuori dall’Europa, visto che il reddito di cittadinanza esiste in ben 26 Paesi europei su 28”. Le asserzioni sono tre: 1) il reddito di cittadinanza si applicherebbe solo a chi vive sotto la soglia minima di povertà; 2) l’Unione Europea ha raccomandato all’Italia ed agli altri paesi membri di adottare un reddito di cittadinanza; 3) l’istituto del reddito di cittadinanza è previsto in 26 paesi membri su 28. Verifichiamole una per una.
- “Un reddito incondizionato garantito a tutti gli individui, senza verifica di requisiti o la richiesta di lavorare”: questo è il reddito di cittadinanza (o reddito di base), come spiega Stefano Toso, professore di scienze delle finanze all’Università di Bologna, nel breve saggio “Reddito di cittadinanza, o reddito minimo?” pubblicato da Il Mulino e recensito su Il Foglio da Andrea Garnero. Per verificarlo basta anche una meno impegnativa visita alla voce su Wikipedia. Ciò che invece il Movimento 5 Stelle chiama reddito di cittadinanza altro non è che un reddito minimo, cioè distribuito successivamente alla prova dei mezzi: prima di tutto una verifica del reddito che non può essere superiore a 600 euro al mese (soglia di povertà relativa dell’Unione Europea per un nucleo famigliare monoreddito), ed inoltre dell’appartenenza alle seguenti categorie: cittadini italiani maggiorenni o stranieri residenti lavoratori in Italia da almeno due anni, e - dai 18 ai 25 anni - il requisito di un diploma superiore. Il reddito minimo proposto dal Movimento propone un’integrazione del reddito famigliare, fino al raggiungimento della soglia di povertà relativa. Il reddito di cittadinanza così inteso dalla comunità scientifica è invece privo di tali condizioni: viene distribuito a tutti, ricchi e poveri, lavoratori e non lavoratori, nella stessa misura. Il reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle non è dunque un reddito di cittadinanza.
- Anche sulle richieste europee le due eurodeputate incorrono nello stesso errore: le istituzioni europee non hanno mai raccomandato l’adozione di un reddito di base agli stati membri, come invece ha più volte affermato il blog di Beppe Grillo nel 2015 e nel 2016 (salvo poi specificare nel testo che in realtà le raccomandazioni sono per un reddito minimo, alimentando ancor più la confusione). Tanto è vero che quando per la prima volta il Parlamento europeo ha avuto la possibilità di prendere in considerazione l’adozione di un reddito di base – all’interno della relazione sulla regolamentazione della robotica di gennaio – la proposta è stata bocciata dalla maggioranza. Il reddito minimo invece viene – questo sì – viene promosso fin dal 1992.
- Non è perciò vero nemmeno che il reddito di cittadinanza “esiste in ben 26 paesi europei su 28”, come affermano Adinolfi ed Agea: è vero invece che il reddito minimo è diffuso in 26 paesi dell’Unione Europea, a cui presto si potrebbe aggiungere anche l’Italia. Il Parlamento ha infatti approvato una legge delega per introdurre il Reddito di Inclusione, che se andrà a regime in qualche anno potrebbe far recuperare il terreno perso sul contrasto alla povertà. Un provvedimento sul quale – secondo OpenParlamento – otto senatori del Movimento 5 Stelle hanno votato contro, ed i restanti si sono astenuti.