Dove porta la ricerca del "morto perfetto" per inquinamento d'impresa
Un medico antivaccinista radiato dall'albo è stato tra i cantori dell'inchiesta a-scientifica contro Tirreno Power
Roma. La ricerca della prova di un collegamento tra malattie o decessi e inquinamento dell’ambiente a causa dell’attività di siti industriali è una missione in cui si sono cimentati pubblici ministeri, periti ambientali, medici, comitati e associazioni. La certezza di riuscire a provare qualcosa di difficilmente dimostrabile è stata il motore primario di inchieste giudiziarie che hanno interessato stabilimenti rilevanti. Un caso paradigmatico è quello della centrale elettrica a carbone Tirreno Power di Vado Ligure (Savona), parzialmente posta sotto sequestro preventivo nel 2014 per sospetto disastro ambientale e accusata dall’allora procuratore Francantonio Granero, ora in pensione, di essere responsabile di 400 morti e oltre 2.000 ricoveri tra il 2000 e il 2007.
Dopo che sono state archiviate le posizioni della maggior parte degli indagati, dopo che le accuse sono state ridotte, derubricate, stralciate, dopo che i dati ambientali confermano che non è cambiato nulla con la chiusura della centrale, ora si apprende che uno dei medici protagonisti della vicenda – Dario Miedico, epidemiologo di 77 anni – è stato radiato dall’ordine dei medici di Milano per avere firmato una lettera assieme ad altri colleghi contro l’obbligo delle vaccinazioni pediatriche. Miedico, che farà ricorso, negli anni si era speso per tentare di aiutare gli inquirenti a trovare nelle centinaia di cartelle cliniche a disposizione della procura savonese il “morto perfetto” (copyright il Secolo XIX), ossia un decesso capace di dimostrare che l’inquinamento della Tirreno uccide.
Peccato che il gestore dell’impianto rispettasse i limiti legali di emissioni– come ammesso anche dal gip nel provvedimento di sequestro – e dunque non ci sarebbe dovuta essere nessuna condotta antigiuridica. Trovare “il Sacro Graal” del diritto penale in materia ambientale non è però una fatica da poco. Lo stesso Miedico ammise in un convegno che “sono molti gli elementi confondenti possibili, bisogna capire se la vittima era un fumatore, dove aveva lavorato, ricostruire la storia della sua malattia, ma non solo”. Per questo “stiamo lavorando su una griglia sempre più dettagliata”, disse mesi prima del sequestro, nel 2013, facendo intendere di prodigarsi per collaborare con la procura e gli esponenti savonesi di Medicina democratica, l’associazione che ha aveva fatto esposto contro l’azienda motivando l’indagine giudiziaria. L’impianto metodologico dell’accusa si basava sull’analisi statistica dei casi clinici che venivano messi in relazione con il fenomeno della desertificazione lichenica, la moria di muschi e licheni nell’area su cui insiste l’impianto – se i vegetali soffrono, lo stesso vale per gli umani. Le perizie sono state contestate dall’Istituto superiore di sanità e la metodologia usata non era certificata da alcun organo scientifico internazionale.
Lo stesso tipo di perizia con l’ausilio delle analisi dei vegetali è considerata inaffidabile anche nella sentenza di assoluzione dall’accusa di disastro ambientale per i dirigenti dell’Enel di Porto Tolle Paolo Scaroni e Franco Tatò, risalente a gennaio. La ricerca del nesso tra morti e inquinamento può diventare una patologia giudiziaria con la cosiddetta legge sugli ecoreati approvata l’anno scorso dal Parlamento. Di recente Legambiente ha detto che “sta funzionando” in quanto dal primo giugno 2015 a fine 2016 sono stati aperti 467 procedimenti penali con 651 persone denunciate, stando ai dati raccolti da 87 procure. Secondo Legambiente, 41 procedimenti giudiziari si sono conclusi con condanne di primo grado nel 2015. Una valutazione quantitativa non tiene tuttavia conto del rischio di un ingorgo giudiziario e del rischio di produrre indagini a-scientifiche a danno di imprese attive, come dimostra Tirreno ora in crisi e con 600 famiglie in difficoltà. La commissione di inchiesta sulle ecomafie ha avvertito delle criticità che comporta “un lavoro complesso e delicato da parte della polizia giudiziaria e delle procure della Repubblica” per appurare “la sussistenza dei numerosi e potenzialmente controversi elementi costitutivi dei nuovi reati ambientali” che rappresenta per la giustizia “una ipotesi di lavoro estremamente complessa e onerosa”.