Perché è nell'Eurozona di Draghi che l'Europa ha "futuro"
La sopravvivenza dell’euro non dipende più dalla paura per la sua scomparsa ma dalla sua radicale riforma
Roma. Circa due secoli fa l’economista inglese John Stuart Mill diceva che se la “macchina monetaria” funziona bene nessuno se ne accorge, si può pensare ad altro, e l’economia prospera. Negli ultimi anni la macchina monetaria ha funzionato bene e l’economia europea è cresciuta per diciannove trimestri consecutivi grazie agli stimoli monetari dispiegati dall’inizio del 2015 dalla Banca centrale europea di Mario Draghi e di conseguenza anche la macchina politica è tornata a mettersi in marcia.
“Eravamo arrivati vicinissimi a una situazione di grosso rischio. E’ il momento di riflettere e guardare un futuro da definire con maggiore visione”, ha detto ieri Draghi in audizione al Parlamento europeo.
Fino all’anno scorso la sopravvivenza dell’Eurozona dipendeva sostanzialmente dalla paura delle conseguenze gravi derivanti della sua disgregazione più che sulle aspettative che il blocco economico fosse sinonimo di prosperità e stabilità. Ma Geert Wilders non ha sfondato in Olanda. Il candidato riformista Emmanuel Macron è stato eletto presidente in Francia. In Germania sembra che la cancelliera Angela Merkel continuerà a mantenere il potere con i cristiano-democratici alle elezioni di quest’anno. Sembra che i partiti sovranisti abbiano insomma ceduto rispetto a partiti riformisti di centrodestra perché non hanno potuto fare leva sull’aggravarsi della crisi economica, situazione utile per rastrellare consensi raccogliendo il malcontento popolare. Le disavventure degli alleati marittimi d’Europa – il Regno Unito post-Brexit e gli Stati Uniti post-Trump – sembrano poi motivare maggiore consapevolezza affinché le istituzioni europee seguano un percorso indipendente, come ha segnalato Merkel.
“Il miglioramento dell’economia sta diventando sempre più solido e continua a diffondersi tra settori e tra paesi”, ha detto Draghi aggiungendo però che “un ammontare straordinario di sostegno monetario è ancora necessario” come ad allontanare la prospettiva dell’esaurimento del Quantitative easing – una visione da “colomba” forse non unanime nel Consiglio direttivo, che si unirà l’8 giugno. “Le prospettive economiche dell’area dell’euro stanno migliorando e i rischi al ribasso si stanno indebolendo. Tuttavia, questi segni positivi non dovrebbero distoglierci dalla necessità di una crescita economica più stabile ed elevata”, ha detto Draghi. “Se vogliamo assicurarci che la nostra Unione economica e monetaria prosperi, dobbiamo aggiornare il suo quadro istituzionale. E’ quindi necessario pensare a cosa dobbiamo fare per procedere a diversi livelli, alcuni in tempi brevi altri in tempi più lunghi, è necessario pensarci senza il timore di cambiare i trattati se necessario, è un grosso passo avanti ma si può fare”, ha aggiunto Draghi. La mancanza di una sovranità politica paneuropea capace di assicurare in modo rapido alla Bce il potere di abbandonare le regole che potevano rivelarsi inefficaci durante una crisi è una primaria fonte di debolezza dell’Unione monetaria introdotta in via definitiva nel 2002. Un difetto – la mancanza di sovranità – che si unisce all’imposizione di regole tanto stringenti quanto (sulla carta) inflessibili come i parametri di Maastricht sul contenimento del deficit e del debito sotto certe soglie. Macron ha proposto una maggiore integrazione fiscale con un bilancio dell’Eurozona, un ministro delle Finanze e una supervisione parlamentare insieme al completamento dell’Unione bancaria. Molte ambizioni sono concentrate sul blocco dell’euro. La Commissione europea dovrebbe presentare mercoledì un documento di riflessione sul rafforzamento della zona euro. La settimana scorsa il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine ha rivelato che i commissari responsabili per la politica dell’euro, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, avevano discusso di allargare l’Eurozona – un processo fermatosi due anni fa a 19 membri – estendendola a Danimarca, Svezia, Polonia, Croazia, Repubblica ceca entro il 2025.
“Quest’anno abbiamo parlato per molto tempo di un punto di svolta: l’Europa poteva rompersi una volta per tutte con Le Pen, o andare avanti verso una maggiore integrazione. La combinazione delle dichiarazioni di Macron-Merkel-Draghi va in questa direzione, ma prima di parlare di estensione bisogna consolidare quello che c’è già: l’Italia è ancora considerata instabile dagli investitori”, dice Alberto Gallo, responsabile per le strategie Macro e partner di Algebris Investments notando che ieri il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi è balzato di 13 punti base sulla scorta di potenziali elezioni anticipate nel timore di un risultato incerto.