Così l'innovazione italiana cerca di sfondare in Cina
Da Anbang a Uber, sembra che il mercato cinese respinga i talenti stranieri. Non è così, e gli italiani ne approfittano
Sembra che negli ultimi tempi arrivino dalla Cina solo storie inquietanti per chi cerca di fare impresa a est. Il caso più recente, quello della compagnia assicurativa Anbang, è un esempio delle difficoltà politico-giuridiche che si possono incontrare facendo affari con Pechino: dopo che la compagnia assicurativa, una delle più importanti di Cina, negli ultimi anni ha speso miliardi di dollari in investimenti all’estero, tra cui l’hotel Waldorf Astoria di New York, questa settimana si è scoperto che il suo fondatore e ceo, Wu Xiaohui, è stato arrestato per corruzione, e che ora l’intera compagnia, fino a poco tempo fa apparentemente solidissima, potrebbe essere a rischio collasso.
Poi ci sono difficoltà legate alla concorrenza: nel settore tecnologico il caso di Uber, costretto l’anno scorso a uscire in mala parata dal mercato tecnologico dopo aver perso miliardi di dollari, è emblematico. La compagnia fondata da Travis Kalanick non riuscì ad adattarsi davvero alle peculiarità del mercato cinese, subì la concorrenza feroce di un player locale, Didi, meglio piazzato sia nel mercato sia nelle grazie della politica, e alla fine fu costretta a soccombere.
Le notizie chiaroscurate sullo stato dell’economia cinese sembrano anch’esse predicare cautela. Eppure l’attrattiva della Cina è così forte che l’entusiasmo nei confronti di Pechino appare giustamente irrefrenabile. Dagli avanzamenti nella ricerca a un afflusso di capitali eccezionale a un ambiente imprenditoriale sempre più vivace, la Cina è ormai il più grande polo innovativo mondiale dietro agli Stati Uniti e anche gli occidentali lo stanno notando – perfino gli italiani.
Entra in scena H-Farm, uno dei più grandi acceleratori di startup in Italia. H-Farm ha da poco lanciato Marco Polo, un programma di accelerazione dedicato interamente al mercato cinese. Sembrava un progetto tra i tanti, e invece la risposta è stata eccezionale. “La nostra idea era di trovare le migliori startup italiane che abbiano interesse a esplorare l’entrata nel mercato cinese”, ha detto al Foglio Tim O’Connell, responsabile dei programmi di accelerazione di H-Farm. “E attraverso i nostri contatti, abbiamo visto anche che c’è grande interesse degli imprenditori cinesi nei confronti delle startup italiane”.
Il processo di selezione delle proposte ha portato alla scelta di 6 startup, ciascuna delle quali riceverà, oltre al sostegno del programma di accelerazione di H-Farm, 200 mila euro, elargiti da investitori cinesi e da H-Farm stessa. Le startup sono state individuate secondo criteri standard (“originalità dell’idea, capacità e velocità di metterla in pratica, disponibilità di un team dotato dell’abilità di gestire un progetto complesso”, dice O’Connell), ma con un occhio di riguardo alle peculiarità del mercato.
“Non ci sono soluzioni magiche per entrare nel mercato cinese”, dice O’Connell. “Le opportunità sono enormi”, ma bisogna saperle sfruttare. “Una delle chiavi del successo, per esempio, è quella di entrare nel mercato cinese con un partner locale”. Il progetto Marco Polo è stato realizzato in collaborazione con QWOS, intermediario cinese per gli investimenti dall’estero, ma “tutte le nostre startup dovrebbero avere un partner locale”, dice O’Connell. “Alla fine però l’unica garanzia di successo rimane sempre la stessa: un’idea vincente”.
tra debito e crescita