L'alternativa alla liquidazione delle banche c'era: la nazionalizzazione transitoria
Con i soldi dati subito a Intesa non si potevano salvare le due banche venete?
Al direttore - A guardare bene il comportamento della Commissione europea e della Bce si fa presto a pensare a una “regoletta” che ci spiegavano alle scuole elementari, la cosiddetta proprietà commutativa della moltiplicazione e dell’addizione, secondo cui invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. A sette anni tutti già la sapevamo mentre sembra sia stata smarrita nei corridoi di Bruxelles e di Francoforte. Bce e Direzione generale della concorrenza hanno, infatti, impedito l’aiuto di stato per ricapitalizzare le due banche venete fondendole perché “lo dice la direttiva del bail-in” ma hanno suggerito e consigliato al nostro ministro dell’Economia di dare a Banca Intesa tutto ciò che di buono c’era nelle due banche venete (depositi, crediti in bonis, altre attività non core, raccolta indiretta e obbligazioni senior per complessivi 60 miliardi di valore) con 5,2 miliardi subito per il rischio-impresa e per la gestione degli esuberi oltre a 4 miliardi di garanzia per rischi futuri dei crediti in bonis. Alla bad bank andranno tutti gli scarti (crediti deteriorati, obbligazioni subordinate e via dicendo) con garanzie pubbliche di 6,3 miliardi.
Ma con i 5,2 miliardi dati subito a Intesa e le garanzie pubbliche di 12 miliardi da dividere tra Intesa e Bad Bank, cosa fa lo stato se non salvare la sostanza della banca e i suoi protagonisti buttando a mare solo il fondo Atlante con i suoi miliardi e la reputazione del caro Alessandro Penati? Con quei soldi non si potevano salvare le due banche visto che erano state impegnate come azionisti la Cassa depositi e prestiti e altre banche e assicurazioni ed erano stati chiamati come amministratori nuovi autorevoli manager a cominciare da Fabrizio Viola e Gianni Mion? Ma il formalismo europeo gestisce quel mostro della Direttiva Brrd (cioè quella del bail-in) in maniera insulsa e burocratica, producendo lo stesso effetto che sarebbe stato prodotto dalla nazionalizzazione delle due stesse banche venete una volta fuse. Ecco perché ci siamo ricordati della vecchia regoletta dell’aritmetica per cui invertendo i fattori il prodotto non cambia. Con due chiose, però, in questo caso. La prima è il regalo, o se volete la cortesia, che si è fatta all’ultima grande banca italiana, Intesa SanPaolo che per la fatica di avere salvato la parte buona delle due banche venete prenderà un sacco di quattrini tra garanzie e soldi pubblici. La seconda è che si eliminano in una regione dinamica come il Veneto due banche territoriali che al di là dei pasticci degli ultimi tempi hanno garantito una forte crescita economica a quella parte d’Italia. Una levata di cappello a Carlo Messina che naturalmente ha fatto alla grande gli interessi dei suoi azionisti come ha documentato il mercato mentre abbiamo forse definitivamente compreso che possiamo fare a meno di un ministro dell’Economia sempre più subalterno ai guardiani europei che non solo tutelano trattati e regolamenti ma prima di tutto le proprie cervellotiche interpretazioni degli stessi, come abbiamo documentato su queste colonne qualche giorno fa, misconoscendo finanche quelle piccole regole aritmetiche universali che ci avevano insegnato alle scuole elementari maestri di alta qualità. Morale della favola: tra soldi pubblici e garanzie altrettanto pubbliche per complessivi oltre 15 miliardi di euro si sono liquidate due banche che invece potevano essere nazionalizzate transitoriamente, come fanno alcune grandi democrazie come gli Stati Uniti d’America.