Così Ue e Giappone si candidano a leader della globalizzazione
Il patto tra Tokyo e l’Unione europea è un gran passo contro il neoprotezionismo (no, non arriverà la carne di balena)
Bruxelles. Oggi arriva Donald Trump in Europa per il vertice del G20 di Amburgo e l’Unione europea e il Giappone dovrebbero annunciare un’intesa di principio su un accordo di libero scambio da completare di qui alla fine dell’anno. Il patto tra Donald Tusk, Jean-Claude Juncker e Shinzo Abe – un doppio accordo di partnership economica e strategica – rappresenta “un potente segnale contro il protezionismo”, spiega al Foglio un alto funzionario europeo. Nell’èra dell’America First e della Brexit, con gli architetti del libero scambio che si chiudono al resto del mondo, Ue e Giappone si candidano a leader della globalizzazione fondata sulle regole. L’accordo di libero scambio coprirà il 99 per cento degli scambi attuali, aprirà il ricco mercato giapponese ai prodotti agricoli europei (con l’eccezione di alcuni prodotti caseari soggetti a quote), abbatterà le tariffe per le auto giapponesi in Europa (ma con un periodo transitorio di 7 anni), consentirà a tutti di partecipare alle gare d’appalto senza discriminazioni (compreso il settore ferroviario nipponico) e dovrebbe permettere investimenti più facili e sicuri. No global di ogni genere – dalla Coldiretti a Greenpeace – si rassicurino: oltre 200 “Indicazione di Origine europea” saranno protette dal Giappone, mentre la carne di balene non potrà entrare in Europa perché è vietata.
L’intesa di principio dovrà essere trascritta nei testi legali. Rimangono questioni aperte, come le clausole Isds (nelle contese sugli investimenti il Giappone continua a preferire gli arbitrati al sistema di tribunali proposto dall’Ue). La firma finale dipenderà, come con il Ceta con il Canada, anche dal via libera della Vallonia. Ma il patto tra Tusk, Juncker e Abe dimostra la forte volontà euro-giapponese di arginare il trumpismo. Secondo il Financial Times, il giorno in cui si accorgeranno di essere trattati dal Giappone peggio degli europei, saranno gli stessi agricoltori americani a bussare alla porta di Trump per esigere la fine del neoprotezionismo.