Dopo otto anni sotto sorveglianza il bilancio di Atene ha l'approvazione di Bruxelles
La Grecia è pronta per uscire dalla procedura per deficit eccessivo, dice Moscovici. Ma il capitolo privatizzazioni resta incompleto
Dopo otto anni di trattative, tagli alla spesa e un miglioramento dei conti pubblici la Commissione europea ha chiuso la procedura di deficit eccessivo nei confronti della Grecia, ritenendo il bilancio del paese in linea con gli standard europei. Un paese che oggi ha livelli di povertà e disoccupazione altissimi, con una recessione che ha spazzato via un quarto della sua economia e che non ha completato il processo di privatizzazioni che avrebbe dovuto attuare. Nonostante tutto ciò, il commissario Ue agli Affari economici ha dichiarato: "Questo è un momento molto simbolico per la Grecia. Il paese è pronto a uscire dalla procedura per deficit eccessivo, trasformando la pagina sull'austerità e aprendo un nuovo capitolo di crescita, investimenti e occupazione". Se la raccomandazione della Commissione fosse approvata dagli Stati membri, solo tre paesi dell'Ue continuerebbero a violare le regole: Francia, Spagna e Gran Bretagna. Nel 2011, quando l'economia globale stava cominciando a riprendersi dalla crisi, erano 24 i membri dell'Ue che violavano le norme, su 27.
L'economia ellenica è al centro dell'attenzione dal 2009, quando una profonda crisi di bilancio ha mostrato il vero stato delle finanze pubbliche del paese, con il deficit al 15 per cento contro il limite europeo del 3 per cento. Per salvarsi dalla bancarotta, nel maggio 2010, Atene ha chiesto l'accesso a un fondo di salvataggio internazionale in cambio dell'adozione di misure di austerità e di riforme economiche, che hanno portato a raggiungere nel 2016 un avanzo di bilancio dello 0,7%. La Grecia spera di uscire dal programma di salvataggio l'anno prossimo e sta pensando di affacciarsi sui mercati obbligazionari, probabilmente già dai prossimi mesi. Con l'ultima tranche del fondo di salvataggio di 7,7 miliardi di euro, il paese ha abbastanza soldi per pagare i suoi prossimi debiti. Ma essere fuori dalle procedure correttive dell'Unione non significa che Atene possa tornare indietro alla sua gestione dissoluta dei conti: per ottenere gli ultimi fondi, il governo di Alexis Tsipras ha promesso di gestire solo l'avanzo primario per i decenni a venire, senza toccare il debito che è ancora pari al 175 per cento del pil. Aumentare il debito significherebbe spaventare di nuovo gli investitori internazionali, e la Grecia non può permetterselo.
Proseguire nella privatizzazione di alcuni settori gestiti dallo stato può essere una prova di credibilità. L’approccio greco alle privatizzazioni ha qualcosa di schizofrenico e sta creando più di qualche mal di testa alla comunità finanziaria internazionale e agli eurocrati impegnati a far rispettare gli impegni presi da Tsipras a Bruxelles. Nonostante, a detta di molti, da ultimo a detta della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, il paese abbia un enorme potenziale in termini di opportunità di vendita ai privati di vari settori trainanti (finanza, turismo, infrastrutture, energia) il processo di privatizzazione, langue, stretto dalle greppie del sistema politico greco, quelle di Syriza in particolare che, con una mano sventola il mantra degli investimenti esteri, con l’altra persegue una chiara e concreta agenda anti-privatizzazioni. Il super fondo nato nel 2016 con l’obiettivo di entrare in controllo del perimetro delle partecipazioni pubbliche del governo di Atene, l’Hellenic Company for Assets and Participation (Edis), ha solo in parte raggiunto gli obiettivi della sua ambiziosa roadmap di cessioni, nonostante sia guidata da due dei più competenti manager ellenici, l’ex capo della Kraft, George Diamantopoulos e da Rania Ekaterinari, che ha guidato la compagnia elettrica nazionale, la Dei. Una delle più recenti privatizzazioni è stata la cessione dell’operatore del porto di Tessalonica, uno degli scali commerciali più importanti del paese. Lo scorso aprile, il porto è stato venduto ad un consorzio internazionale guidato da Deutsche Bank, da France Terminal Link e dal fondo Belterra, del banchiere russo-greco Ivan Savvidis. La compagine ha offerto 231 milioni di euro per acquisire il 67 per cento delle quote del porto. Tutta l’operazione però deve ancora avere il via libera della Corte dei conti di Atene. Stesso discorso è valso per le nostre Ferrovie dello Stato. L’Ad di Fs Renato Mazzoncini si è imbarcato giù da un anno nel tentativo di comprare il principale operatore ferroviario greco, Trainose. Dopo aver partecipato ad una gara internazionale, lo scorso gennaio, Mazzoncini è riuscito a spuntarla. Anche in questo caso però manca l’ok dei giudici contabili per finalizzare l’acquisto, tanto che è dovuta scendere in campo direttamente la diplomazia di palazzo Chigi, come ricordato di recente dallo stesso premier Gentiloni: “Ai primi di luglio firmeremo con il premier greco Tsipras l'accordo attraverso cui le nostre Ferrovie hanno acquisito una parte rilevante del trasporto ferroviario greco".