Contro il nuovo Misogallo
Piano con la Macronfobia, ci sono spazi di collaborazione con la Francia. Eccone alcuni
Il presidente francese Emmanuel Macron ha esplicitato prima e dopo la campagna elettorale una chiara strategia nazionale ed europea: riprendere le redini dell’economia con un contenimento della spesa pubblica e una riforma del mercato del lavoro per presentarsi con le carte in regola a ottobre all’appuntamento con il nuovo governo tedesco e spingere per un’agenda riformatrice a livello europeo. Questa strategia si traduce anche in un notevole sforzo culturale di avvicinamento alla Germania, con numerosi ministri e membri di gabinetto germanisti, nonché il rilancio delle classi bilingue francese/tedesco nei licei francesi.
Macron è stato eletto sotto la bandiera dell’Unione europea. Si tratta di un fatto assolutamente originale nella Quinta repubblica francese ma non significa che la Francia abbia eletto un presidente federalista. Macron illustra una nuova generazione di politici francesi che, pur rimanendo ancorati nell’universo nazionale, considerano l’Europa come un naturale spazio politico, una scala imprescindibile per l’azione politica e il necessario riformismo in un contesto globalizzato nel quale i singoli paesi non riescono a gestire la complessità dei flussi. Con la strategia di rilancio del motore franco-tedesco, fermo dai tempi di Kohl-Mitterrand, la presidenza Macron usa un classico meccanismo intergovernativo per smuovere le acque europee, un’operazione che né Nicola Sarkozy per colpa della crisi economica né François Hollande per colpa di un velleitarismo troppo nazionale erano riusciti a fare.
Macron sta riempendo ogni spazio offerto dal suo ruolo istituzionale, e lo fa sia con l’impetuoso carattere della sua gioventù sia con la sua fine conoscenza del simbolismo storico, alimentando i paragoni con figure forti dalla monarchia fino a De Gaulle. Ma nello stesso tempo l’attivismo passa per un’intensificazione del dialogo, una volontà culturale di ascolto ben illustrata dalle capacità linguistiche dei ministri, nonché l’interiorizzazione del fatto che la dimensione nazionale francese è insufficiente per risolvere i problemi della stessa Francia. Vi è quindi sia l’affermazione di una presidenza forte e per certi versi dirompente, sia la ricerca di dialogo e di coalizioni europee riformiste.
Questa evoluzione risulta difficile da capire per l’Italia. L’attivismo del presidente francese viene spesso letto in chiave critica, rilanciando il filone espresso da Cesare Alfieri nel “Misogallo”, ovverosia degli italiani che, dalla Rivoluzione francese in poi, ritengono che la Francia sia un problema. Esiste quindi un filone storico che ha considerato l’attivismo internazionale francese come una successione di “avventure” che disturbano gli interessi italiani, visione che è stata rilanciata dopo la lettura molto critica dell’intervento franco-britannico in Libia del 2011. Anche se l’elezione di Macron rappresenta un’iniezione di modernità non indifferente nel corpo politico francese e nell’azione internazionale della Francia, a Roma vi è difficoltà a leggere questa evoluzione, tanto è importante l’associazione fra una figura presidenziale forte e i fantasmi di un’essenza autoritaria francese post rivoluzionaria.
L’accelerazione francese beneficia di un contesto internazionale peculiare, quello dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e quello di una presidenza americana discussa. Il rapporto della Francia con gli Stati Uniti verte su due aspetti fondamentali. Il primo è l’alleanza storica che corre dalla guerra di indipendenza. Il secondo è l’alleanza militare e strategica attuale : per l’America la Francia è l’alleato militare numero uno nel mondo, ed è lo stesso per la Francia, una convergenza nell’uso della forza militare illustrata ad esempio dall’inclusione della portaerei Charles De Gaulle nelle rotazioni delle portaerei statunitensi. Con l’elezione di Donald Trump sono apparse divergenze importanti, come il ritiro statunitense dell’accordo di Parigi sul clima, ma queste differenze non rimettono per ora in causa l’alleanza strategica.
L’uscita del Regno Unito rappresenta l’altro versante dei cambiamenti nel mondo anglosassone. Al di là delle conseguenze ulteriori, quest’uscita ha provocato una volontà di reazione politica da parte dell’Unione europea che dal 2016 accelera sull’integrazione, con il rafforzamento della politica europea di difesa, una serie di iniziative nelle quali Francia e Germania si stanno particolarmente impegnando. L’eclissi degli Stati Uniti e il ritiro britannico rappresentano di fatto uno spazio di opportunità per l’Europa, ma anche per il rilancio di una dinamica continentale all’interno dell’Unione. Si tratta però di un fattore scomodo per l’Italia che aveva nel mondo anglosassone un’importante proiezione politica, culturale ed economica. La perdita di centralità sia da parte degli Stati Uniti nel mondo, sia da parte del Regno Unito in Europa, lascia l’Italia orfana di un approdo politico importante, rimandandola a un quadro storicamente problematico, quello dei rapporti con Francia e Germania. Si tratta anche di uno slittamento economico e culturale notevole, nel quale la perdita di centralità del Regno Unito produrrà effetti progressivi dal punto di vista del mercato del lavoro, della ricerca ma anche della lingua. Tutto questo richiede una riconfigurazione delle priorità internazionali. Gli Stati Uniti rappresentavano un alleato comodo per l’Italia, in quanto il differenziale di potenza era tale che non destava discussioni. Anche il Regno Unito poteva entrare in questa categoria di alleato relativamente distante, sia per la vicinanza con l’America sia per la relativa neutralità storica nei confronti dell’Italia. Francia e Germania sono dei bocconi nettamente più amari da ingoiare per un’Italia che ha difficoltà a trattare i rapporti con questi paesi con pragmatismo.
Il rilancio europeo nel quale la Francia gioca un ruolo motore rappresenta un’opportunità per l’Italia. Esiste una convergenza fondamentale, quella sulla flessibilità delle regole budgetarie nei confronti di un certo rigorismo da parte dell’Europa del nord. La Francia rappresenta quindi il principale alleato per una strategia che sia l’ex premier Matteo Renzi sia l’ex presidente Hollande avevano invocato senza superare però la fase velleitaria. Un altro punto riguarda la stabilizzazione della zona Nord Africa/Sahel. Se si guarda oltre le suscettibilità di un paese o dell’altro che spesso tendono a considerare alcune zone come terreno d’azione esclusivo, se si superano le scorie delle percezioni storiche, esiste una forte sinergia potenziale sul contrasto ai traffici, al terrorismo e alle migrazioni, obiettivi largamente condivisi. Va inoltre rilevato che la Francia da anni chiede all’Italia di collaborare per il controllo delle frontiere a sud della Libia, intervenendo anche militarmente in Niger. Dietro questo invito si cela la convinzione francese che senza un impegno collettivo europeo non si può giungere a una soluzione duratura, una percezione che è stata rinforzata dall’impegno crescente della Germania in Mali. Anche quest’analisi viene condivisa: vanno bene le differenze nazionali, ma i paesi europei hanno troppi pochi mezzi per entrare in una competizione di fronte a emergenze sulla sicurezza.
Il dossier Stx-Fincantieri rappresenta un punto di scontro. La presidenza Macron usa la nazionalizzazione dei cantieri navali Stx per coltivare il consenso interno, in modo tale da tenere buoni sia le parti sociali sia i numerosi fautori di un patriottismo industriale, un tassello importante nella strategia estiva di Macron volta a riformare il mercato del lavoro. Va rilevato anche quanto questa operazione susciti relativamente pochi commenti critici in Francia, illustrando la relativa indifferenza dell’opinione pubblica francese nei confronti delle sorti italiane. La posizione del governo italiano sembra piuttosto solida di fronte a una Francia che ha cambiato le carte in tavola nello spazio di poche settimane. Non sembrano quindi esserci margini per un accordo. Questo però non segna la fine della questione. L’agenda europea di Macron apre numerose partite nelle quali l’Italia può far valere i suoi interessi e incassare anche crediti recenti. Per trattare con un attore decisionista come la presidenza francese, bisogna anche copiarne lo stile, quindi essere capaci di tenere il punto ma anche di legarlo a una strategia globale, con una visione d’insieme dei vari dossier bilaterali.
Si potrebbe discorrere a lungo sull’indifferenza parigina nei confronti di una Roma ritenuta politicamente instabile e capricciosa alla quale si opporrebbe la spocchia di una Parigi prigioniera di una sua visione nazionale autoritaria ed esclusiva. Detto questo, l’elezione di Emmanuel Macron ha cambiato il gioco francese ed europeo offrendo spazi di opportunità. Abbiamo anche osservato un Macron abile politico, capace di usare gli sfarzi della Repubblica per una diplomazia altamente simbolica. L’Italia non è seconda a nessuno in termini di sfarzi protocollari, potendo contare su un patrimonio di palazzi pubblici di antica memoria. Ogni tanto, i lucidatissimi elmetti del reggimento Corazzieri potrebbero tornare utili. Anche oggi, Parigi vale bene una messa.
Jean-Pierre Darnis è direttore del programma Difesa e Sicurezza dello Istituto affari internazionali (Iai)