Nuovo cantiere Cdp
Gallia e Costamagna hanno una grande chance per rivoluzionare la Cassa partendo da Fincantieri
Roma. Per ora Italia e Francia hanno fallito nel tentativo di trovare un compromesso sui cantieri oceanici di Stx a Saint-Nazaire. Il governo guidato da Emmanuel Macron ha rifiutato di cederli a Fincantieri mentre il governo Gentiloni pretende il controllo e la guida nel rispetto di un precedente accordo preliminare. I negoziati proseguiranno, aggiornamento: 27 settembre. E’ un periodo che non dovrebbe andare sprecato in vittimismi e polemiche campanilistiche. La diffidenza francese nel cedere l’unico cantiere europeo con un bacino di carenaggio tale da produrre navi da crociera di enorme stazza e con 2.600 addetti deriva dalla mancanza di “garanzie sufficienti” – parole del ministro dell’Economia Bruno Le Maire – a saperlo gestire da parte di un’azienda pubblica qual è Fincantieri. Fincantieri ha margini di guadagno modesti, brucia cassa, e avrebbe bisogno di discontinuità manageriale dopo la gestione di Giuseppe Bono, 73 anni, in carica da quindici anni, ma non si è dotata di un piano di successione. La questione investe Cassa depositi e prestiti (Cdp) che controlla Fintecna, azionista di controllo di Fincantieri con il 71,6 per cento. Il presidente di Cdp Claudio Costamagna e l’ad Fabio Gallia in un’intervista al Corriere della Sera non sembrano però riconoscere il problema. “Crediamo che la lettura sia tutta politica, in chiave elettorale francese”, hanno detto ieri nell’intervista in coppia. La retromarche può invece rappresentare l’occasione per migliorare Fincantieri e quindi un’opportunità di vera rivoluzione per i due ex banchieri il cui mandato scade nella primavera 2018. Costamagna viene da Goldman Sachs (già in èra pre-Draghi) e Gallia da Bnl, diramazione della francese Bnp Paribas – che è stata advisor unico del deal Fincantieri-Saint-Nazaire. Furono nominati dall’ex premier Matteo Renzi a luglio 2015 per produrre una politica industriale muscolare, per segnare una “nuova fase”.
Spesso Cdp viene definita la “nuova Iri”, ma non ha certamente la stessa logica nel partecipare all’economia nazionale – gestisce il risparmio postale privato, è fuori dal perimetro pubblico ed è governata dallo stato – e l’operato è difficilmente intelligibile. In questi anni Cdp ha giocato molte partite ma quelle più importanti finora sono state prima di tutto azioni difensive. Ha comprato società strategiche come Saipem consentendo a Eni sia di deconsolidare dal bilancio il colosso dell’ingegneria per l’estrazione di idrocarburi sia di lasciare invariato il dividendo consegnato allo stato e a se stessa in quanto socio del Cane a sei zampe. Ma ha incamerato un’azienda in difficoltà e incrementato l’esposizione verso le fluttuazioni del prezzo del petrolio. E’ stata un’àncora per le banche. Ha partecipato al fondo Atlante, essenziale l’anno scorso per evitare a Unicredit la ricapitalizzazione di Pop. Vicenza, poi comunque soccorsa dallo stato con la sorella Veneto Banca, e quindi ha allontanato un rischio sistemico rilevante. Ha preso parte dalle retrovie a un duello contro Telecom Italia, controllata dalla francese Vivendi, che si era messa in competizione con la pubblica Metroweb-Open Fiber per portare internet super veloce nelle aree poco popolate. Il governo ora brandisce in chiave anti-Vivendi l’intenzione di esercitare poteri speciali verso Telecom dove i francesi dominano cda e organi apicali. Qualsiasi sia il motivo non è saggio da parte dell’Italia punire un’azienda privata che non ha mai speso così tanto come oggi per investimenti infrastrutturali. In ossequio all’interventismo renziano la Cdp si era adoperata per trovare un partner industriale all’Ilva di Taranto facendo da investitore apripista a guida di una cordata italiana (cui inizialmente si affiancò la turca Erdemir).
La Cdp fortunatamente non s’è imbarcata in un’operazione onerosa: ha perso la gara ma ha motivato l’offerta da parte di ArcelorMittal, che si è aggiudicata il siderurgico tarantino sotto sequestro giudiziario da oltre cinque anni. “Ora noi tutti non possiamo che tifare Ilva”, ha detto Gallia. L’idea di un fondo di ristrutturazione per imprese in crisi ma non decotte indirizzato all’Ilva, cavallo di battaglia renziano, non si è realizzata, ma ha preso forma in altri termini a marzo, con la società di gestione del risparmio QuattroR dedicata alle pmi. Il piano industriale di Gallia e Costamagna al 2020 ha proprio l’intento dichiarato di sostenere le pmi in linea con la prassi della KfW tedesca e della Cdc francese (con le quali Cdp dovrebbe aprire un ufficio a Bruxelles da qualche anno). La KfW effettua il 74 per cento degli investimenti in imprese private, il 16 nel pubblico e per il restante in altri asset e attività. La Cdc è quasi speculare, 66 investimenti privati, il 14 pubblici, il 3 liquido e il 17 in altre iniziative. Cdp invece mette nel privato il 15, nel pubblico il 31, tiene liquido oltre metà del patrimonio, che per la metà è sul conto di tesoreria del Mef. Spostare il baricentro da un capitalismo di stato legato ai movimenti oscillanti della politica per ambire a una strategia più chiara e orientata da logiche di mercato può essere appropriato, a partire da una scossa a Fincantieri.