Indagine sulla stretta monetaria di Draghi
Il ritiro di liquidità dal mercato è lo scenario dei prossimi anni, con reazioni più o meno isteriche. Come il destino monetario dell’Europa condiziona le nostre attività future. Parla Sdogati (Politecnico Milano)
La ripresa c’è, ma i prezzi viaggiano ancora bassi. Dunque, la conditio sine qua non per sospendere il quantitative easing, l’inflazione al 2 per cento, non si è ancora concretizzata, almeno a leggere il bollettino di Banca d'Italia diffuso ieri. Eppure, nonostante le correzioni di rotta del discorso del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi a Sintra a fine giugno (male interpretate dal mercato come un ritiro della politica di Qe a breve termine), primo o poi la politica monetaria espansiva finirà.
Tutto sta nel capire se con modalità repentine e reazione isteriche da parte dei mercati finanziari o se con atterraggio morbido, come auspica Fabio Sdogati, professore di Economia internazionale al Politecnico di Milano e osservatore del “quantitative tightening”, ossia del necessario e progressivo invertirsi della rotta che porterà a un ritiro di liquidità, processo già manifestato più esplicitamente dalla Federal Reserve. Anzi, come sospetta Sdogati, “sarà a Jackson Hole che il prossimo 26 agosto Janet Yellen darà ulteriori indizi sulla continuazione del processo”. Ma in cosa consiste esattamente, il Quantitative tightening? Il professore sostiene che “la curva di crescita del portafoglio titoli della Bce sta per invertire la rotta grazie a un progressivo ritiro di liquidità dal sistema monetario, insieme al rialzo dei tassi di interesse. Il processo è già iniziato gradualmente negli Stati Uniti e potrebbe durare 10/15 anni, il portafoglio di 4.500 miliardi di dollari che la Fed detiene in obbligazioni verrà assottigliato diminuendo a un ritmo di circa 40 miliardi al mese, ritirati a scadenza dei titoli e non più reinvestiti nel sistema”.
Quanto ai rialzi dei tassi di interesse, il processo negli Stati Uniti è già in corso (due rialzi nel 2017, sebbene soft) e con una ulteriore tappa a dicembre prossimo. A settembre, invece, il Fomc (il braccio di politica monetaria della Fed) dovrebbe annunciare l'inizio della riduzione dei reinvestimenti, probabilmente con partenza a ottobre. Salvo, naturalmente, inflazione insoddisfacente.
Quali conseguenze potrebbe avere un Quantitative tightening in Europa? “Molto dipende dai ritmi che prenderà la cosa. Se si procederà secondo un atterraggio morbido e con misure millimetriche da parte della Bce, nessun grosso scossone nei mercati. Se invece la Bce opterà per un ritiro brusco di liquidità con rialzi improvvisi dei tassi di riferimento, allora il mercato reagirà con paura e repricing al ribasso dei titoli di stato”.
Quali sono le probabilità per la seconda ipotesi? “Tutto dipende dal dopo Draghi, visto il cambio di testimone previsto nella Bce nel 2019. Se, come possibile, la successione sarà affidata al tedesco Jens Weidmann, capo della Bundesbank, da sempre critico nei confronti del Qe… lo scenario più probabile è senz’altro una reazione isterica dei mercati, a fronte di una politica economica restrittiva molto più drastica e improvvisa”.
Ma se, riprendendo le considerazioni del bollettino Bankitalia, l’aumento dei prezzi non è ancora così “vigoroso”, come si ripercuoterebbe questo tightening sull’economia reale? “Come sosteniamo in tanti, non c’è una ricaduta esatta della politica monetaria sulla congiuntura economia – dice Sdogati – La stagnazione a mio avviso è piuttosto legata a un sistema di aspettative ancora pessimiste da parte dei principali protagonisti del mercato, le famiglie. Finché non si interverrà in maniera robusta sulla fiscalità e con una politica di riforme strutturali più profonde, i consumatori rimarranno timidi”. “L’altro giorno ho ascoltato una ragazzina ammettere mestamente alla sua amica che per il suo compleanno le avrebbe donato solo una lettera. Per far tornare il sorriso a questa ragazza, insomma, le misure della Bce non bastano…”, conclude Sdogati.
tra debito e crescita