Elsa Fornero (foto LaPresse)

Lavoro, non pensioni

Luciano Capone

Intervista a Elsa Fornero contro i politici acchiappa-consensi: “Intervenire sull’adeguamento dell’età pensionabile è segno della pochezza della classe politica”

Roma. Perché le pensioni sono di nuovo al centro dell’agenda politica? “Siamo in campagna elettorale e il tema pensioni viene stiracchiato per ottenere voti”, risponde al Foglio Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro nel governo Monti. La proposta trasversale, di Damiano e Sacconi, all’ordine del giorno è il blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Un provvedimento che costerebbe decine di miliardi negli anni, ma gli unici allarmi per l’aumento della spesa sono arrivati dai tecnici, il presidente dell’Inps Tito Boeri e la Ragioneria dello stato. “Un sindacalista ha detto che la Ragioneria ‘fa politica’ – dice la professoressa Fornero – E’ un’affermazione che non sta in piedi: la Ragioneria ha il dovere istituzionale di rappresentare i conti ai cittadini”. Perché non c’è nessun politico che lo fa? “Siamo in campagna elettorale, chi è che si prende la responsabilità di dire la verità? Ci vuole coraggio. Meglio non pensare al futuro, conviene occuparsi delle prossime scadenze elettorali promettendo qualcosa. E’ questa la miopia della politica”.

 

I tecnici non mettono i bastoni tra le ruote alle iniziative politiche? “Mi sembra solo che cerchino di difendere i conti nel lungo termine, che vuol dire tutelare chi non è rappresentato nella contesa elettorale: i giovani, che votano poco, e le generazioni future, che non votano affatto”, dice Elsa Fornero. Il lungo termine però è roba da professori. “Se la politica si riduce a ragionare sul breve termine, il gioco è tra chi le spara più grosse. Ma dura fino a quando non arriva una nuova crisi finanziaria”. E che succede? “A quel punto i politici si ritirano per chiamare i tecnici a fare le riforme, su cui poi tornano a sputare”. In realtà la riforma Fornero è sempre stata presentata dall’Italia nelle sedi internazionali come un fiore all’occhiello, l’emblema della capacità di fare le famose riforme strutturali. “Sì, in Europa e nel resto del mondo se ne vantano sempre, ma poi tornano in Italia e sparano a zero. Una doppiezza che è espressione di vigliaccheria. Naturalmente non tutti i politici sono così, c’è chi riconosce i risultati di una riforma che comunque poteva essere fatta meglio, ma le persone oneste intellettualmente sono sommerse dal vociare di quelli che onesti non sono”.

 

Va bene che i pensionati sono tanti ed elettoralmente organizzati, ma il paese sembra avere un’ossessione per le pensioni. Anche quando si pensa ai giovani si fanno proposte pensionistiche, come il riscatto gratuito della laurea. “E’ una misura iniqua – dice al Foglio la Fornero – che avvantaggia chi va all’università rispetto a chi non se la può permettere o chi non ha la prospettiva culturale per farla. In altre epoche sarebbe stata definita classista. Ma la preoccupazione principale oggi dovrebbe essere la creazione di lavoro, non è impossibile, perché abbiamo un settore manifatturiero con una grande reputazione. Bisogna puntare sulla formazione professionale, avvicinare la scuola e il lavoro che per per ragioni di ideologia sono stati tenuti separati, abbassare le tasse sul lavoro, potenziare i centri per l’impiego che spesso sono desolanti”. Un’altra proposta sempre rivolta ai giovani, penalizzati a livello previdenziale dal lavoro discontinuo e mal retribuito, è una pensione minima garantita. E’ una buona idea? “Si prende tutto dalla coda e non dal capo”. Cioè? “La vita lavorativa, che è ciò che dovrebbe garantire stabilità, una retribuzione dignitosa e i contributi per la pensione. E invece si parte dalla promessa pensionistica. E’ una politica di stampo antico: se non siamo in grado di risolvere il problema del lavoro, come possiamo garantire una pensione tra quarant’anni?”.

 

Insomma, si pensa al lavoro e si risponde con le pensioni. Non è forse un segno dei tempi, o un paradosso, che la proposta di blocco dell’aumento dell’età pensionabile venga da due ex ministri del Lavoro molto diversi come Cesare Damiano e Maurizio Sacconi? “Nel caso di Damiano è la sua mission, la sua professionalità. E’ stato un sindacalista e le pensioni sono l’elemento più importante di una politica sindacale che ha tollerato ingiustizie e privilegi inaccettabili, compresi quelli dei sindacalisti. Per Damiano quindi è una sorta di riflesso condizionato, anche per i giovani non pensa a politiche del lavoro innovative ma a una garanzia pensionistica, perché quello è il suo habitat culturale. Lui lì si ritrova”, risponde la Fornero, anche lei ex ministro del Lavoro. E Sacconi? “L’adeguamento di cui si parla è stato introdotto da Sacconi e Tremonti, anche se con la tecnica surrettizia di posticiparne l’entrata in vigore. Sacconi ha una impostazione diversa, quindi credo che la sua sia una posizione strumentale dal punto di vista elettorale”. Ma visto il trattamento da lei subìto per la sua riforma, i politici hanno qualche motivo per evitare scelte impopolari. “Una delle ragioni della pochezza della classe politica, con eccezioni di grande valore, è che per anni la politica è stata l’ambito di costruzione dei privilegi. Ma questo modo di elargire benefici immediati ha prodotto un benessere costruito sul debito che penalizza i giovani. Qualcuno pensa che vendere illusioni a buon mercato paghi ancora, ma i cittadini sono molto più maturi di quanto non li facciano”. Se l’orizzonte deve essere il lungo periodo, cosa si può fare per guardare lontano? “Mi sto battendo per l’educazione economico-finanziaria. L’unica arma non di breve termine contro le forze populiste è avere cittadini consapevoli”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali