Saggio da leggere per capire l'inconsistenza dei professionisti dell'anti liberismo
Massimo De Carolis e i trucchetti di chi rifiuta il mercato
Recensire un libro, per recensirne molti. Tesi affini ad altre tesi affini ad altri libri. Che poi è un solo libro e una sola tesi: il neoliberalismo è al tramonto e ha reso gli uomini schiavi delle loro passioni tristi. Il mercato è il nuovo contenitore totalitario, regolatore unico di comportamenti e coscienze, rappresentazione innovativa del rapporto amico-nemico e del bellum omnium contra omnes dinamizzato ma tenuto sotto controllo. Gli eserciti occidentali, quello americano prima di tutti gli altri, sono i difensori di questo sistema e aspirano a sottomettere tutti a quest’ordine. Ogni cosa in occidente è stata ridotta a puro valore economico, a partire dalle nostre scelte di vita valide soltanto se in grado di produrre merci e oggetti di consumo. La vita sociale è stata “ripensata e ricongegnata dalle fondamenta, fino a potersi rispecchiare interamente nella figura della valorizzazione”. Sacro e profano si confondono nella liturgia unica della produzione senza limiti. E, ovviamente, la democrazia di massa ipermoderna è, nell’orizzonte del solito uomo a una dimensione “una versione matura, evoluta e perfezionata dell’ideale totalitario”.
Il rovescio della libertà. Tramonto del neoliberalismo e disagio della civiltà di Massimo De Carolis, edito da Quodlibet, parla di tutto questo snocciolando, per quasi trecento pagine, letture di Hayek, Mises, Rustow, ma anche di Schmitt e Hobbes, insieme a molti altri, tutti però inscritti all’interno di questo quadro ormai classico, con piccole variazioni sul tema, che si può trovare in tutta quell’industria culturale che da Fusaro in su ammorba la maggioranza dei libri che criticano il neoliberalismo senza riconoscerne i meriti macroscopici ed essendo incapace di produrre alcuna alternativa che abbia la benché minima traducibilità nel reale.
Il libro di De Carolis si configura come un excursus storico filosofico del pensiero neoliberale e delle sue conseguenze pratiche. In modo piuttosto chiaro mostra come molti governi, dopo il fallimento del keynesismo negli anni ’70, abbiano adottato politiche neoliberali perché erano le uniche disponibili in grado riconoscere e favorire la progressiva domanda di riconoscimento individuale e di libertà dei paesi più evoluti e di quella sempre più forte che saliva dai paesi che volevano uscire dalla povertà.
A questo oggettivo quadro storico, De Carolis fa seguire tutta la classica tirata antiliberale di cui si è detto sopra a cui aggiunge una buona dose, sebbene poco citato, di Michel Foucault. De Carolis cita il pensatore francese da cui pesca a piene mani la teoria del potere declinato attraverso la governamentalità liberale. Si tratta della tesi secondo cui l’idea che il mercato si forma spontaneamente attraverso la libera interazione delle scelte individuali non sarebbe altro che un meccanismo del potere, un’illusione di cui il potere si serve per far credere agli uomini di essere liberi, li illude di essere liberi, quando invece si tratta solo di una forma più sofisticata di sottomissione e sfruttamento che si traduce in un sistema di potere in cui si realizza non la libertà ma, come dice il titolo, il suo rovescio.
Nel libro di De Carolis non si trova alcun riscontro pratico alla sua tesi che già, a livello teorico, è più sfuggente di un’anguilla. Vengono fatti riferimenti a gigantesche corporation e a una governance globale che tendono a voler mantenere con ogni mezzo il terribile status quo contemporaneo. Ma non si fanno nomi, non si danno riferimenti, non ci sono numeri, non si citano documenti. Nulla. Solo teorie. E la cosa più allarmante di testi come questo, sempre più diffusi, è la totale mancanza di aderenza alla realtà dei nostri anni recenti e la pervicace negazione di ciò che il processo economico neoliberale ha portato al mondo. Ma questo è un tema enorme e, per chi ha voglia di guardare dati e statistiche, ormai scontato.
È invece essenziale dire che quando De Carolis parla de “l’opacità irrisolta dei suoi [del neoliberalismo] fondamenti antropologici”, dice una cosa non vera. Se c’è un punto chiaro nelle teorie di tutti i padri del neoliberalismo è proprio questa realistica e meravigliosa idea dell’uomo come un essere limitato, nella conoscenza, nella razionalità e nelle opzioni, ma che può scegliere la sua libertà, quale strada percorrere e come determinarla e amministrarla. Una libertà e una tensione alla realizzazione della propria individualità che, però, non è mai solipsistica perché è possibile solo attraverso gli altri, attraverso uno scambio reciproco proprio per la strutturale necessità che si ha degli altri data la limitatezza di ciascuno di noi. La chiarezza su tutto questo è inequivocabile, tanto in Mises quanto in Hayek. In The use of knowledge in society, con straordinaria potenza epistemologica, Hayek costruisce un argine intellettuale e scientifico insuperabile contro ogni totalitarismo politico ed economico.
Il punto, in ogni caso, non è tanto la difesa del neoliberalismo quanto l’ideologizzazione che porta all’incapacità di riconoscere i monumentali meriti di un’idea talmente efficace e vera per gli uomini da essersi tradotta in pratica e da aver portato pace per il periodo più lungo e prosperità nella maggiore quantità nella storia dell’uomo. Tutto ciò ha reso gli uomini più tristi perché deprivati di un qualche grande e, spesso, illusorio scopo e ideale? Possibile, forse qualcuno sognava di morire durante una grande guerra come fa Hans Castorp, perché di quello aveva bisogno per svegliarsi dal torpore del disagio della civiltà, oppure assaltando il Palazzo d’Inverno. È legittimo. Ognuno cerchi uno scopo in se stesso, negli altri o in ciò che più desidera e di cui sente necessità. Ma almeno lo si faccia con l’onestà di ammettere che viviamo in un periodo caotico ma glorioso, e di passaggio.