Perché a sessant'anni l'indiano Padda non può giocare più con i Lego
Staffetta al vertice dell’impero danese dei “mattoncini”. Fuori un manager, ne arriva un altro più giovane e combattivo
Milano. Ma a sessant’anni si può giocare ancora con il Lego? Senz’altro sì, può rispondere Donald Trump che di anni ne ha 71 ma non disdegna passare le ore per ricostruire, pezzo dopo pezzo, la sua Trump Tower. Meglio di no, ha invece sentenziato Kjeld Kirk Kristiansen, pronipote di Ole Kirk Kristiansen, il falegname di Billund che nel 1958 ebbe l’idea di produrre – e brevettare – i mitici mattoncini: per contrastare le Barbie o le diavolerie di cinesi e giapponesi ci vuole uno spirito giovane. E così l’erede di una delle grandi dinastia del Regno di Danimarca, forte del 75 per cento del capitale di Lego (37,9 miliardi di corone, ovvero 5 miliardi di euro di fatturato), ha deciso di licenziare Bali Padda, 61 anni, l’amministratore delegato nominato sette mesi prima, per sostituirlo con Niels Christiansen, manager rampante di Danfoss, multinazionale scandinava delle caldaie, di dieci anni più giovane. Forse non è andata proprio così. A favore di Christiansen ha senz’altro giocato il passaporto, oltre che l’età. Il manager, biondo figlio di Danimarca cresciuto nel business in una grande azienda a controllo familiare – esattamente come l’impero di Legolandia – è probabilmente più adatto a entrare in sintonia rispetto a Padda, indiano di nascita ma di nazionalità british, che pure aveva alle spalle quindici anni di onorato servizio nella terra di Amleto.
A giustificare la staffetta ai vertici, poi, potrebbero aver contribuito i dati delle vendite, poco brillanti per i gusti della dinastia: “solo” il 6 per cento in più rispetto ad un anno fa, mica male di questi tempi ma non il gioiello danese che, sotto la guida di Jorgen Vig Knudstorp, il precedente leader del gruppo da lui salvato a inizio millennio dal declino, da anni macinava guadagni anno su anno ben più cospicui (in media il 18 per cento l’anno). Insomma, ci voleva un cambio di passo, del resto già in preventivo: Padda, ha spiegato lo stesso Kristiansen, ha sempre saputo che il suo era in incarico a termine, in attesa di trovar il nome giusto per affrontare una sfida all’ultimo mattone. E dopo Padda, al di là dei problemi generazionali, Lego si appresta ad affrontare una nuova stagione dopo i successi (e le difficoltà) che ne hanno segnato la storia.
Tra poco più di un mese il colosso dei giocattoli, secondo per fatturato solo all’americana Mattel, affronta una serie di sfide decisive per il suo futuro. Al cinema, innanzitutto, con il lancio a livello mondiale di “Lego ninja”, l’incursione nel mondo della fiction che deve servire a rinfrescare negli scaffali dei centri commerciali e più ancora nelle vendite via Internet i successi raccolti nel recente passato grazie agli accordi di licensing relativi a Harry Potter, Guerre Stellari e Batman, alla base dei videogiochi e dello streaming di “Toy Story”, “Lego Batman” o dei “Pirati dei Caraibi”. Ma negli stessi giorni il nuovo numero uno dovrà fare gli onori di casa all’apertura della nuova reggia della dinastia che condivide con la birra Carlsberg e il design eleganti di Bang & Olufsen l’onore di rappresentare la Danimarca nel mondo. Tra un mese infatti verrà inaugurata Lego House, 12mila metri quadri sviluppati su un’altezza di 23 metri in quel di Billund, non lontano dalla falegnameria di nonno Ole che negli Anni Trenta, per compensare la crisi dei mobili, aveva deciso di dedicarsi ai giocattoli di legno.
Ma non è finita qui. Dagli impianti di Lego, sotto la regia di Knudstorp, l’ex McKinsey che resta l’uomo forte di Lego (a dimostrazione che la terza età non è poi così fuori gioco) stanno per uscire i nuovi mattoncini destinati a una terza vita: dopo i vecchi Lego di legno, ormai finiti nei musei del giocattoli di mezzo mondo, stanno per andare in pensione anche i mattoncini di plastica rigida, quelli che ancor oggi, oltre ai bambini, affascinano adulti come Larry Page di Google, che si è costruito un computer a base di Lego. Forse anche lui passerà presto ai nuovi materiali, sostanzialmente indistruttibili ed indeformabili che entreranno presto sul mercato spiazzando i vecchi prodotti. La sfida più ambiziosa, però, è il lancio di Lego Brand, il marchio cui toccherà far a volano per la diversificazione del business su nuovi terreni, più virtuali che fisici. Internet ha cambiato le regole del gioco anche nel mondo dei giocattoli. Con grande vantaggio delle multinazionali che possono programmare su scala globale il lancio di bambole o di accessori, piuttosto che di film e merchandising. Ma anche con nuove insidie. Internet permette anche ai produttori meno sofisticati di imporsi con poca spesa grazie a un marketing virale che i Big possono contrastare con efficacia solo sviluppando il mercato della connettività.
Il vecchio mattoncino, insomma, è destinato a trasformarsi in una password per entrare in un mondo virtuale, in cui sono destinati a connettersi giovani e meno giovani. Insomma, dietro la defenestrazione del povero Bali Padda c’è molto di più che una semplice staffetta aziendale. Il colosso scandinavo non ha dimenticato la lezione del 2004 quando l’azienda ha dovuto fronteggiare una pericolosa caduta del giro d’affari del 30 per cento accompagnata dalla perdita di 150 milioni di euro. La causa? Un’eccessiva diversificazione, con incursione nell’abbigliamento, negli accessori più disparati e nella proliferazione dei parchi a tema. A salvare la baracca fu l’arrivo di Knudstorp che impose drastici tagli, regole ferree e soprattutto, la cancellazione di tante iniziative che si erano rivelate in perdita. “L’azienda – tuonò – ha perduto il suo stile e la sua personalità”, imponendo il ritorno alle origini. Oggi, però, si tornano a battere terreni finora inesplorati. Una scelta obbligata di fronte al pericolo della concorrenza del web e dei soliti, minacciosi cinesi che per ora però sono soprattutto buoni clienti. Una sfida obbligata perché il mattoncino può cambiar pelle ma non intende andare in pensione come è toccato a Bali Padda che, in queste ore si chiede se per caso non ci sia “del marcio in Danimarca”.