Le insane nostalgie protezioniste
Tutelare la strategicità di Telecom Sparkle senza mire ri-nazionalizzatorie
Mettere all’asta le frequenze 5G, che entro il 2020 forniranno i nuovi servizi di telefonia mobile, è un’idea sensata che dovrebbe trovare posto nella prossima manovra finanziaria. Il governo otterrebbe due miliardi dagli operatori privati e altri in futuro liberando frequenze obsolete: obiettivo realistico visto che negli ultimi dieci anni le gare per il 4G e 3G hanno portato nelle casse pubbliche circa sei miliardi. E che Germania e Francia hanno già ottenuto dalle prime aste 5G rispettivamente cinque e 2,5 miliardi. D’altra parte le frequenze – a differenze della rete a in fibra ottica, tipica infrastruttura proprietaria per la quale sono in lizza Telecom ed Enel – costituiscono un bene pubblico da valorizzare secondo mercato. Egualmente ha senso che il governo eserciti la golden power, cioè il diritto di mantenere il controllo di vigilanza sull’italianità e sulla tecnologia di Telecom Sparkle, costola della capogruppo ormai a proprietà francese dedicata alla rete e al traffico internet. Sparkle collega l’Italia con il resto del mondo ed è la settima azienda mondiale nel settore, la seconda europea, smistando anche informazioni riservate. Sulla sua strategicità ci sono pochi dubbi. Purché però tutto questo non riproponga nostalgie protezioniste e ri-nazionalizzatorie sull’ex monopolista Telecom, della quale Vivendi ha ormai il 24 per cento e ha appena rinnovato il management. In questo caso gli esempi stranieri non sono affatto incoraggianti. Deutsche Telekom, nata dalla privatizzazione delle Bundespost, è rimasta in mano pubblica ripagando i contribuenti tedeschi con minimi utili e 50 miliardi di debiti. Quanto a Orange, ex France Telecom, anch’essa rimasta sotto lo stato, è tornata a crescere solo a luglio scorso, dopo otto anni di crisi, con utili però in pesante calo.