Pochi bimbi, tanti debiti. La tempesta perfetta dell'Europa
L’appello di Draghi sugli effetti di un dramma non capito: la crisi demografica
Roma. Nel 2015 fu il vicepresidente della Banca centrale europea, il portoghese Vítor Constâncio, numero due di Mario Draghi, a scandire bene: “Da anni l’Europa sta commettendo una sorta di suicidio demografico collettivo”. Adesso è lo stesso Mario Draghi, nella sua conferenza dalle montagne di Jackson Hole, ad affrontare il tema della demografia in Europa. Secondo Draghi, il crollo delle nascite e l’invecchiamento di massa assieme all’aumento del debito pubblico sono alcune delle minacce principali all’Europa, generando un sistema perverso di denatalità, indebitamento e bassa crescita economica. “Entro il 2025 ci saranno 35 persone su cento con 65 anni nei paesi dell’Ocse, contro le 14 nel 1950” ha spiegato Draghi. “Allo stesso tempo, i tassi di debito pubblico sono aumentati in questi paesi dal 56 per cento rispetto al pil nel 2007 a circa l’87 per cento di oggi”. Dunque meno lavoratori, più pensionati, più welfare e più crisi del debito. Gli stati che costringono i giovani a pagare tasse più alte per mantenere la popolazione anziana non fanno altro che rendere più difficile per le nuove generazioni la creazione di una famiglia. A luglio un rapporto Bmi Research, che fa parte del gruppo Fitch, ha spiegato che “la demografia è il rischio più grande alla sostenibilità del debito europeo”, mentre un rapporto della stessa Bce dei primi di agosto ha indicato le conseguenze della crisi demografica sui tassi di interesse. L’eccesso di risparmio rispetto alla domanda di finanziamento per investimenti produttivi è all’origine della caduta del tasso d’interesse reale.
Insomma, al vertice dell’economia europea si inizia a riflettere seriamente sull’elefante nel negozio di cristalli a lungo considerato tabù: la “peste bianca”, denatalità e incanutimento. Si è appena parlato molto di demografia anche a Lindau, in Svizzera, all’annuale conferenza dei premi Nobel dell’Economia cui ha partecipato anche Mario Draghi, in una sessione dal titolo “Elderly Europe”. “L’Europa sta invecchiando”, si legge. “Consideriamo il problema dell’invecchiamento in Giappone come eccezionale, ma le popolazioni stanno invecchiando rapidamente in tutta Europa”. Si dice che la stessa definizione di “vecchiaia”, fissata oggi nei paesi Ocse a 65 anni, dovrà essere rivista a causa del declino demografico.
Racconta il settimanale tedesco Spiegel in edicola questa settimana che “la struttura della popolazione in Germania sta cambiando con un impatto sulla spesa sociale. Nel 2016, queste spese sono salite a 29 miliardi di euro, secondo l’Ufficio federale di statistica. Nell’anno precedente la cifra era di 27,7 miliardi di euro, con un incremento del 4,5 per cento”. La denatalità e l’invecchiamento stanno avendo effetti anche sull’ordoliberale e parsimoniosa Germania.
Non a caso alla fine degli anni Settanta, in concomitanza con il crollo delle nascite, ci fu l’aumento del debito pubblico in Italia. Per garantire le rendite alle generazioni passate, l’Italia stava sacrificando il suo futuro. E i “diritti acquisiti” si sarebbero trasformati presto in “diritti negati” ai giovani. Grecia e Italia oggi sono non soltanto i paesi col più basso tasso demografico d’Europa, ma anche quelli col più grande debito pubblico (quello italiano è passato dal 132,1 per cento del pil del 2015 al 132,6 per cento nel 2016, dietro alla Grecia che arriva al 179 per cento del pil). E’ la tempesta perfetta indicata da Draghi: pochi bambini e tanti debiti. La via per quella che lo storico Niall Ferguson ha definito “Europa senescente”.