Il lavoro non ce lo rubano i robot, ma un'istruzione insufficiente
Il 56 per cento degli italiani fa lavori che tra vent’anni non esisteranno più, e la scuola non ci prepara a sapere fare quelli nuovi
Education, Education, Education. Era lo slogan con il quale Blair entrò in modo dirompente nella politica britannica, individuando nel miglioramento dell’istruzione la principale priorità del governo.
Oggi, grazie a una serie di riforme promosse in quegli anni dal premier laburista e dalle misure adottate dall’allora sindaco di Londra, il conservatore Johnson, la città può vantare il migliore sistema educativo del paese.
Nel 1998 solo il 32 per cento degli istituti di Londra aveva superato con alte valutazioni il General Certificate of Secondary Education, l’esame intermedio nella scuola superiore britannica. Nel 2013 la percentuale era salita all’83 per cento, rispetto a una media nazionale del 59,2.
Una delle misure introdotte dal governo laburista e migliorata da Johnson è stata la London Challenge, lanciata nel 2003 con l’obiettivo di individuare le scuole con i risultati peggiori e poi assegnare a ognuna una sorta di consulente che aiutasse gli istituti a mettere a punto un programma ritagliato sulle esigenze degli studenti.
Da troppo tempo in Italia si continua a parlare di pensioni e immigrazione, come se fossero gli unici temi in agenda.
Il principale problema italiano, invece, è che la produttività è ferma al palo da oltre un ventennio, e nel confronto dal 1985 ad oggi l’Italia è nella fascia dei paesi Ue con la crescita più bassa, nonostante ci fossero state normative che hanno favorito l’uscita anticipata dal mercato del lavoro, e quindi di fatto il turnover occupazionale, che però non si è verificato a discapito dei giovani.
Invece di concentrarsi unicamente su pensioni (si è arrivati al paradosso che si propongono pensioni anche per i giovani che non hanno cominciato a lavorare) e immigrazione, la politica cominci a prestare attenzione a un dato pericoloso e per alcuni versi tragico che ha diffuso alcuni giorni fa l’Eurostat.
Il 26,1 per cento dei 25-34enni – target nel quale l’Italia ha il triste primato dei disoccupati in Europa – conseguirà al massimo la licenza media, ha affermato l’Istituto europeo di statistica. Un italiano su quattro non arriverà mai alla laurea. E difficilmente lavorerà in modo continuativo, aggiungiamo noi, perché scarsi livelli di istruzione e di qualificazione segnano una elevata difficoltà a trovare un lavoro stabile, condizione che nel lungo periodo costituisce le premesse per la disoccupazione e l’espulsione dal mercato del lavoro.
Questi numeri confermano il sostanziale fallimento dell’impalcatura della Riforma Berlinguer, il cui scopo era quello di aumentare il numero dei laureati, e allontanano l’Italia dagli obiettivi della strategia di Europa 2020. Entro tre anni, infatti, gli adulti in possesso del titolo terziario dovrebbero essere almeno il 40 per cento.
Gli obiettivi della strategia di Europa 2020, però, erano stati concepiti prima del decennio di crisi, e soprattutto senza ipotizzare quale sarebbe stata l’accelerazione al cambiamento e alla innovazione di Industria 4.0, che altri paesi stanno utilizzando per ridefinire l’offerta formativa (Inghilterra) e la riorganizzazione dei processi industriali (Germania).
Nel 2016 le imprese tedesche hanno aumentato gli investimenti in robotica del 36 per cento rispetto all’anno precedente. Eppure la disoccupazione giovanile è rimasta su livelli fisiologici, non superiore al 6 per cento.
Il lavoro, insomma, non lo tolgono i robot o i migranti, a meno che non si tratti di impieghi ripetitivi e facilmente riproducibili anche dagli algoritmi e da chi ha bassa scolarizzazione.
L’Italia, invece, abbonda di professioni impiegatizie e ripetitive, e nei prossimi venti anni il 56 per cento di esse rischia di scomparire (Fonte Oxford Martin School). Per questa ragione tornare a investire sulla formazione, per aumentare la capacità individuale di stare sul mercato del lavoro, diventa l’unica opzione possibile per dare una prospettiva di crescita al paese.
Per agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani bisogna puntare in modo deciso sul modello di istruzione duale tedesco, fondato su un forte apprendistato in integrazione tra scuola e lavoro e su un’istruzione superiore a carattere professionalizzante.