Sul Ceta c'è chi dice Sì anche tra gli agricoltori
L'accordo tra Ue e Canada promette di fare aumentare l’export del 25 per cento solo per l’Italia, lanciando piccoli e grandi brand dai vini a i formaggi. Parla Dino Scanavino (Cia)
Roma. Mentre sui media si sprecano i commenti nostalgici e un po’ revanscisti per l’acquisto di uno dei primi produttori di aceto balsamico, l’Acetum di Cavezzo, da parte del colosso del tè Twinings, il 21 settembre entra in vigore il Ceta, accordo economico-commerciale di libero scambio tra Canada e Unione europea. Il trattato internazionale promette di cambiare per sempre i rapporti commerciali tra i due paesi rilanciando (per il partito del sì) o deprimendo (secondo i detrattori) le rispettive eccellenze produttive. Un capitolo molto particolare è rappresentato dall’agroalimentare, nell’ambito del quale il documento prevede la tutela di tanti marchi.
La norma sulle denominazioni protette è stata a lungo oggetto di contrattazione ed è il nodo fondamentale per i volumi del Made in Italy negli scambi oltreoceano. Si stima, infatti, che l’export alimentare europeo possa raddoppiare il proprio fatturato e in particolare favorire l’Italia, che esporta attualmente 1 miliardo di dollari ed è al quinto posto per i prodotti alimentari venduti in Canada. Le previsioni per l'Italia si attestano a più 25 per cento. Cifre più che interessanti, poi, se si considera tutta l’Unione europea, che è il secondo partner commerciale del Canada – dopo gli Stati Uniti e prima della Cina – con esportazioni per 40,61 miliardi e importazioni per 25,24 miliardi.
Per entrare in vigore l’accordo dovrà essere ratificato dai parlamenti nazionali degli Stati Ue, ma il fronte dell'opposizione al Ceta è ampio e trasversale, in Italia in particolare. A inizio settimana il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una mozione del Pd che richiede a governo e Parlamento un confronto critico con le organizzazioni sociali e di rappresentanza prima di chiudere l’iter di ratifica del provvedimento. Coldiretti, Cgil, Legambiente, Adusbef, Federconsumatori, Movimento Consumatori, Greenpeace hanno manifestato in Piazza Montecitorio a inizio luglio, mentre il Movimento 5 stelle bombarda la rete con una serie di rivendicazioni sulla presunta scarsa tutela dei Dop.
Eppure non tutti gli attori della filiera condannano in blocco il Ceta. Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia, la Confederazione degli agricoltori che raccoglie oltre 900 mila iscritti tra coltivatori diretti e imprenditori agricoli, è convinto che le singole obiezioni si possano completamente scardinare.
Il falso made in Italy. Il Ceta prevede la protezione d’origine per 143 prodotti europei associati a una specifica città o regione, di questi prodotti 41 sono italiani. Secondo alcuni, questa tutela doveva estendersi ad altre marche, per tutelarle dalla concorrenza sleale di brand con qualità inferiore. “E’ il contrario – puntualizza Scanavino – oggi ci sono molti prodotti taroccati sul mercato canadese ma grazie alla protezione assicurata dal Ceta nessuno potrà più appropriarsi del nome originale né commercializzare per esempio un Chianti o un Parmigiano. Del resto i 41 brand tutelati rappresentano il 91 per cento del mercato italiano, dunque si tratta di un risultato straordinario per l’agroalimentare italiano. Adesso la sfida è estendere la tutela ad altre realtà locali: non consideriamo questo un accordo tombale, ma passibile di future negoziazioni”. Meglio un mercato regolamentato, con tutte le limitazioni del caso, comunque, che il far west assoluto.
La questione del grano
Un altro caso riguarda la possibilità di una circolazione maggiore del grano canadese per la produzione di pasta. “Ma non possiamo pretendere di produrre in autarchia – continua Scanavino – perché l’Italia produce 3 miliardi di pasta e ne consuma solo la metà, esportando tutto il resto. Quindi tutto il grano coltivato nel nostro paese non riuscirebbe a coprire la produzione”. Sul tema pasta, poi, la polemica è ancora più insidiosa. Il Ceta – secondo le critiche - darebbe il via in Europa e in Italia all’uso indiscriminato di produzioni che utilizzano sostanze chimiche e fitosanitarie vietate dalla legge, in particolare il glifosato, che è una componente utilizzata in Canada per l’essiccazione del grano duro e che da noi è vietata per quell’uso. “Le nostre leggi proteggono il paese da questo metodo di essiccazione e il Ceta, naturalmente, non può sovrastarle”. Stesso discorso per gli Ogm.
Esclusi alcuni prodotti
Margini di miglioramento ci sono, dicevamo. Impossibile tuttavia sminuire l’impatto che il Ceta avrà su alcuni prodotti italiani oggi introvabili in Canada, o eccessivamente costosi per via dei dazi. “Il Canada è un paese che ha accolto generosamente centinaia di migliaia di connazionali, rimasti molto legati alle tradizioni e ai cibi delle proprie origini. Vini, olii, formaggi vivranno una nuova feconda stagione”. Nelle etichette tutelate rientrano per esempio il Pecorino romano e la mozzarella di Bufala campana, più 15 vini dop, prodotti che a questo punto potrebbero vivere una seconda vita.
La tutela del prodotto: l’etichetta non basta. Sul discorso più ampio della tutela dei prodotti non si può prescindere dalla necessità di qualificare le produzioni italiane, con un intervento molto più radicale. “Una grande innovazione è stata l’etichettatura che dal 2003 prescrive l’obbligo di indicare l’origine per frutta, verdura e carne – dice Scanavino. Ma in realtà ciò non ha prodotto i risultati sperati perché si è rivelata una misura insufficiente a spingere il consumo dei prodotti italiani. Sarebbe stato opportuno creare un sistema di informazione molto più completo, come nel caso della frutta, come ad esempio il frutteto di provenienza” (cosa che si fa già per i vini). Si potrebbe arrivare a un “catasto dei frutteti” con un’etichettatura completa che riporta età, ubicazione, superficie, categoria del luogo di coltivazione. Questo garantirebbe minor pericolo di contraffazione dei prodotti.
Il tema, oltre che economico, è anche di preservare il territorio: in alcune zone rurali stanno diminuendo le superfici agricole. Colpa della concorrenza o di un cattivo marketing? Sul fronte dei latticini, ad esempio, il prodotto tedesco e francese hanno battuto quello italiano sul mercato libero di Lodi, crescendo del 31 per cento contro il 27. La sensazione è che la qualità dei latti stranieri venga meglio apprezzata e per migliorare la percezione dei nostri prodotti si deve forse agire sulle sue “carte d’identità”. Insomma, il Ceta forse aiuta, ma non basta. Ci vogliono tavoli di lavoro istituzionali, creatività, strategie commerciali più consapevoli.