Dove il Dragone ha messo le mani in Italia
Prima che l’Ue decida un meccanismo di controllo, gli investimenti cinesi hanno superato gli 11 miliardi di dollari in Italia
Roma. Mentre i dati macro cinesi sulla produzione industriale e le vendite al dettaglio deludono il mercato e danno un'indicazione di un rallentamento della seconda economia mondiale, il meccanismo europeo di difesa dagli investimenti predatori cinesi in gestazione alla Commissione europa guidata da Jean-Claude Juncker potrebbe essere il primo vero argine contro l’attivismo finanziario di Pechino all’interno dell’Unione europea.
La Commissione ha già ha annunciato iniziative per rafforzare il programma commerciale europeo, in particolare per proteggere i settori strategici dagli investimenti di paesi extra-europei. Per il ministro Calenda, “la proposta di Regolamento sul monitoraggio degli investimenti extra Ue annunciata ieri dal Presidente della Commissione Juncker è un passo importante nella giusta direzione ma è solo un elemento di un quadro normativo più completo per il quale l'Italia continuerà a battersi". "L'obiettivo - ha sottolineato Calenda - è quello di creare un insieme di regole condivise e fare in modo che l'Ue abbia gli strumenti per reagire, anche con forza, quando queste regole vengono infrante. Questo vale tanto per le acquisizioni e gli investimenti industriali quanto per il commercio”.
La Cina, resta infatti l’osservato speciale, soprattutto in Italia dove i flussi finanziari cinesi sono consolidati e le realtà investitrici del paese asiatico restano importanti player nell’acquisizione e nel controllo di imprese italiane, spesso ad alto contenuto tecnologico. Secondo uno dei database di intelligence economica più aggiornati nel seguire gli investimenti cinesi nel mondo, il China Global Investment Tracker, curato dal think tank americano Heritage Foundation, dal 2008 al 2017 le operazioni di investimento in Italia svolte da soggetti cinesi (per importi superiori ai cento milioni di euro) sono state circa 40 per complessivi 11,2 miliardi di dollari circa.
Aldilà dei target più noti e blasonati, le risultanze del China Investment Tracker fanno emergere come le operazioni cinesi siano presenti in quasi tutti i settori produttivi italiani. Negli ultimi due anni tante le operazioni industriali, l’ingresso del fondo AGIC Capital nella maggioranza del gruppo di Gimatic, fornitore leader di componenti handling e soluzioni per l’automazione industriale, oppure l’acquisizione del gruppo di alta gioielleria e lusso Buccellati da parte della holding Gansu Gangtai, quotata a Shangai. Attraverso la State Administration of Foreign Exchange (Safe) – il fondo responsabile di gestire le riserve di valuta estera tramite investimenti – il controllo cinese sulle aziende strategiche italiane è particolarmente diffuso. L’anno della svolta – attestano i dati del think tank americano – è stato il 2014, che ha visto l’ingresso in Telecom, Prysmian, Poste italiane e Fca.
Anche il mondo bancario e finanziario non è esente, la Safe è presente nel gotha del capitalismo italiano (Mediobanca, Generali, Intesa e Unicredit) mentre una delle maggiori conglomerate cinesi, Fosun, oltre ad essersi accaparrata parecchie proprietà immobiliari, in particolare a Milano, sta pianificando ulteriori investimenti. Altri investitori cinesi sono già presenti nel mercato energetico italiano. Non si tratta solo dei colossi State Grid of China e Shangai Electric, presenti rispettivamente in Terna e Ansaldo energia, ma anche di altre realtà come la China Three Georges Corporation – la società che ha l’incarico di costruire la gigantesca diga delle tre gole sul fiume Yangtze – che ha investito nella Edpr Renewables per la costruzione di parchi eolici in Puglia e altre zone d’Italia.