La partita (irrisolta) dell'Italia con l'energia nucleare
Il nuovo capo di Sogin ha i numeri giusti per realizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi ma il tempo gioca contro
Roma. Dopo trent'anni dal referendum che ha sbarrato la strada al nucleare, l'Italia non ha ancora chiuso i conti con lo smantellamento delle sue centrali, che nel 1966 producevano una quantità di energia seconda solo a Stati Uniti e Inghilterra. Una parentesi breve, conclusa alla fine degli anni Ottanta, tanto quanto è lunga quella del suo decommissioning, le cui attività dovrebbero terminare nel 2035 e costare complessivamente 6,8 miliardi di euro. E' qui che si gioca la partita oggi: dopo aver scelto di non promuovere la produzione di energia dall'uranio il paese può dimostrare di essere all'avanguardia almeno nella fase dello smantellamento e dello smaltimento dei rifiuti. Senza perdere l'opportunità di sviluppare un indotto legato ai cantieri e alle compensazioni per i territori che ospiteranno le scorie nucleari. Si tratta di attività complesse che richiedono grande specializzazione e competenza, su cui l'Italia si muove con vantaggio rispetto agli altri paesi avendo iniziato prima a dismettere gli impianti, mentre alcune centrali europee si avvicinano adesso alla fine del loro ciclo di vita.
Le chiavi di questo know how sono in mano a Sogin, società interamente controllata dal ministero dell'Economia e delle Finanze, a cui dal 2001 è affidato il compito di completare la demolizione di otto siti nucleari e metterne in sicurezza i pezzi. Dopo quasi vent'anni di gestioni discusse e discutibili, accompagnate da polemiche per i costi sostenuti e i pochi risultati presentati, da un anno a questa parte il consiglio di amministrazione ha cambiato volto. Ed è in mano a due ingegneri, Marco Enrico Ricotti e Luca Desiata, che sembrano avere chiare in mente le priorità su cui concentrare il mandato. “Sogin è stata vittima di ingerenze politiche – ha detto l'amministratore delegato, Desiata, durante un recente incontro con la stampa – scontando ritardi ed extracosti. L’obiettivo di questo cda è ristabilire il suo ruolo nel paese affermandone la natura estremamente specializzata e ad alto contenuto tecnico”. Senza troppi giri di parole l'ad ha spiegato così quali sono gli errori del passato da non ripetere e i punti critici da affrontare, presentando un bilancio di questo primo anno in carica che si chiude “bene, ma non benissimo”. I lavori di smantellamento avanzano a rilento, fermandosi al 26 per cento con 642 milioni di euro spesi, su un totale previsto per questa specifica attività di 2,4 miliardi. Secondo le aspettative dell'azienda l'anno si chiuderà con 63,5 milioni di investimenti legati al decommisioning, un risultato migliore delle peggiori previsioni ma inferiore a quanto sperato (83,3 milioni). I motivi sono presto spiegati: da una parte c'è l'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che tra le mille competenze ha anche quella di autorizzare Sogin su ogni fase dei suoi lavori, e lo fa con molta lentezza. Dall'altro i recenti problemi con Saipem, che attraverso un raggruppamento temporaneo di imprese gestiva i cantieri di Rotondella e Saluggia. Due siti molto importanti all'interno dei quali i lavori non sono andati avanti “per gravi inadempienze di Saipem”. Saluggia è già pronta per essere rimessa a bando, dopo la sospensione del contratto tra Sogin e Saipem, Rotondella è in stallo ma il contratto, conferma Desiata, sarà interrotto a breve.
Ora, ha messo in chiaro l'amministratore delegato, c'è da recuperare “credibilità e stabilità”, puntando sullo sblocco dei cantieri e sull'efficienza nella gestione, anche per poter varcare le frontiere e fare affari all'estero. Desiata potrebbe essere l'uomo giusto al momento giusto, se è vero che come ha detto il ministro Carlo Calenda il governo intende varare la Carta nazionale delle aree idonee a ospitare i rifiuti nucleari entro la fine dell'anno. Un provvedimento che si attende da circa due anni, su cui l'Europa ha aperto una procedura di infrazione e che una volta pubblicato darà il via a un percorso di consultazione con i territori e gli enti locali per determinare la mappa definitiva del deposito nazionale. Intanto le scorie già pronte sono stoccate in depositi temporanei, alcuni all'interno delle centrali italiane e altri, quelli più radioattivi, in Inghilterra e Francia. Secondo le previsioni i nuovi siti di stoccaggio definitivi dovrebbero essere pronti per il 2025, data in cui i rifiuti rientreranno in Italia: se tutto filasse liscio i tempi potrebbero essere rispettati, evitando extracosti per continuare a mantenere i depositi temporanei. Ma il tempo è contato e la definizione del piano nazionale è una patata bollente per il governo, che dovrà affrontare comitati e ostilità locali. “Noi ci rivolgiamo alla politica parlando da tecnici – ha detto l'ad – e se la politica è sollecitata nel modo giusto poi risponde”.
D'altra parte Sogin conta di poter accelerare le attività di decommissioning, investendo i residui 1,8 miliardi per concludere entro il 2035. Per dimostrare che l'azienda fa sul serio – e dare prova delle sue competenze tecniche anche all'estero, dove ha già commesse per 10 milioni – ha presentato un Piano operativo all'Ispra per smantellare la zona più complessa di una centrale nucleare, quella che trattiene il 95 per cento della radioattività residua. Si tratta del vessel, il nucleo in cui avveniva la fissione nucleare, ed è la prima volta che un'operazione del genere viene svolta in Italia. Si inizierà da Garigliano, in provincia di Caserta, dove c'è un'ex centrale Enel non più attiva dal 1982. Sogin stima che i lavori potrebbero durare 9 anni, costare 103 milioni e coinvolgere circa cento tecnici ad alta specializzazione. La ditta committente è stata già individuata, anticipando il bando di gara, ma per iniziare serve l'autorizzazione. Di buono c'è che secondo un recente decreto le competenze dell'Ispra saranno a breve trasmesse all'Isin, un ente che si occuperà specificatamente dell'attività di Sogin. "Ci aspettiamo un'autorità indipendente e forte che sblocchi le autorizzazioni", ha detto Desiata. Il quadro però è chiaro: il decommissioning è un'attività di sistema e Sogin non funziona se non funziona tutta la macchina.
tra debito e crescita