Perché per la Banca dei regolamenti l'èra dei tassi a zero potrebbe non finire mai
Il mondo è diventato così assuefatto al denaro a basso costo che una stretta monetaria potrebbe fare deragliare la ripresa economica
Roma. Il mondo è diventato così assuefatto al denaro a basso costo che una stretta monetaria potrebbe fare deragliare la ripresa economica, ha detto la Banca dei regolamenti internazionali nel suo bollettino trimestrale. Claudio Borio, capo economista della Bri, una delle più antiche istituzioni globali, ha avvertito che quando i tassi saliranno – come alcune banche centrali si stanno preparando a fare – le aziende e i mercati si troveranno in difficoltà. I precedenti d’altronde consigliano cautela nella manovra di rientro. Il 9 luglio 2008 la Banca centrale europea decise un aumento dal 4 al 4,25 per cento del tasso d’interesse, che era stato lasciato fermo da oltre un anno. Sotto la presidenza del francese Jean-Claude Trichet, l’Eurotower raggiunse così il record di stretta monetaria in tre anni e mezzo, da quando cioè a dicembre 2005 aveva effettuato il primo ritocco dei tassi sostituendosi alle banche centrali nazionali, dal 2 al 2,25 per cento. Spiegando la decisione del board dei governatori, Trichet parlò di “rischi di rialzo dell’inflazione nel medio periodo, con i prezzi al consumo che resteranno alti per un periodo molto più lungo di quanto previsto”. Previsione clamorosamente sbagliata, anche se nei 12 mesi precedenti l’inflazione italiana era balzata dall’1,7 al 4,1 per cento. A causa però soprattutto del costo del petrolio e del picco del mercato immobiliare. Mentre Trichet aumentava il costo del denaro in Europa, come si comportava la controparte americana, la Federal Reserve guidata dal febbraio 2006 dal repubblicano Ben Bernanke? Esattamente al contrario: tra il 2004 e il 2006 Alan Greespan, predecessore di Bernake, aveva attuato un vertiginoso rialzo, dall’1 al 5,25 per cento, per raffreddare un’economia che pareva procedere con il vento in poppa. Bernanke in pochi mesi ridusse gli interessi prima al 2 per cento, poi nel dicembre 2008 tra lo zero e meno 0,25, livello dove sono rimasti fino al tapering annunciato, ma non pienamente attuato, da Janet Yellen. Così in quell’estate 2008 mentre i tassi europei salivano quelli americani precipitavano.
Il 15 settembre 2008 c’è stato il fallimento della Lehman Brothers, appena due mesi dopo la decisione di Trichet: culmine della crisi bancaria le cui ricadute globali certo Francoforte non poteva ignorare, anche perché la bolla dei mutui subprime era esplosa già nel 2006. E’ stato il momento di massima divergenza tra le politiche monetarie americana ed europea – Bernanke veniva soprannominato “helicopter Ben” in quanto lo si accusava di gettare dal cielo denaro pubblico; Trichet e i banchieri centrali europei al contrario stringevano i freni. Molti hanno cercato di spiegare questa clamorosa differenza di vedute, e di decisioni. In realtà come rivela quel comunicato del luglio 2008, la Bce guardava allora all’inflazione come un rischio supremo, e soprattutto non faceva differenza tra inflazione da petrolio o da consumi. Bernanke aveva invece sul cruscotto i dati delle sofferenze e dei maneggi delle banche, grazie alla struttura diffusa della Fed e al suo decisionismo. Oggi, dopo anni di espansione monetaria e un biennio di crescita economica, l’inflazione non alza la testa in Europa e in America. “Sembra di aspettare Godot – ha detto Borio – Perché l’inflazione è rimasta così ostinatamente bassa anche se le economie si avvicinano o superano le stime della piena occupazione e gli sforzi senza precedenti delle Banche centrali per spingerla? Questa è la domanda da un trilione di dollari che definirà il percorso dell’economia globale negli anni a venire e determinerà con ogni probabilità le politiche future. E’ preoccupante che nessuno sa veramente la risposta”. C’è chi però suggerisce, come Nouriel Roubini su Project Syndicate, di seguire in parte un consiglio della Bri quando avvertiva – com’è una sua posizione classica – del rischio di bolle finanziarie derivanti dall’allentamento monetario: anziché inseguire un target di inflazione del 2 per cento, fissare l’obiettivo a un tasso di inflazione “zero”, comportando una manovra rapida di rientro. Visto come stanno non è improprio il soprannome di Dr. Doom per Roubini, data la preferenza a generare panico anziché pazientare.