Amazon come Apple. L'Europa vuole 250 milioni
Secondo la Commissione europea il Lussemburgo avrebbe favorito il colosso dell'e-commerce con un sistema fiscale agevolato e ora chiede indietro le tasse non versate. "Così si inasprisce il conflitto con gli Stati Uniti", spiega Stevanato
[Aggiornato il 4 ottobre] La Commissione europea torna a occuparsi del regime fiscale delle grosse imprese del web che hanno sede legale in Europa, questa volta chiedendo al Lussemburgo il conto delle tasse di Amazon. Il colosso dell'e-commerce ha scelto il Lussemburgo come sede fiscale in Europa e dal 2003 ha raggiunto con il governo un accordo fiscale. Lo aveva anticipato martedì il Finalcial Times e lo ha poi confermato il giorno dopo il commissario europeo alla concorrenza, Margrethe Vestager: la Commissione ha concluso l'indagine sul caso, in corso da tre anni, e ha stabilito che il "tax ruling" tra il Lussemburgo e l'impresa è assimilabile a un aiuto di stato. L'ipotesi è che Amazon abbia ridimensionato gli utili realizzati in Europa mediante il trasferimento di royalties esentasse tra società dello stesso gruppo. Il caso è simile al precedente di Irlanda e Apple, ma con un importo molto inferiore ai 13 miliardi chiesti all'azienda di Cupertino: il Lussemburgo dovrebbe recuperare circa 250 milioni di crediti da Amazon, considerando in maniera retroattiva l'effetto dell'accordo, e versarli nelle casse europee. Secondo la Commissione, la maggior parte dei profitti di Amazon venivano registrati in Lussemburgo ma non sottoposti a tassa.
.@amazon tax benefits in Luxembourg are illegal under our common European rules on state aid. Amazon to repay benefits worth around €250 mio
— Margrethe Vestager (@vestager) 4 ottobre 2017
L'indagine su Amazon non è la sola aperta dall'Ue che indaga sul meccanismo dei prezzi di trasferimento relativi allo scambio di beni e servizi tra due società dello stesso gruppo. Sarebbero una dozzina secondo il Ft, che oltre ad Apple in Irlanda ricorda anche Starbucks in Olanda e Fiat sempre in Lussemburgo. In tutti questi casi l'oggetto è il transfer pricing, cioè il meccanismo con cui le aziende registrano gli utili nella giurisdizione col regime fiscale più favorevole, pur fatturando in paesi diversi. “Come nel caso Apple Irlanda, l'azione rischia di porsi in contrasto con le iniziative accertative assunte dagli altri Stati membri (si pensi al caso italiano riguardante Google) – spiega al Foglio Dario Stevanato, docente di diritto Tributario – indebolendo i tentativi di tassare gli utili delle multinazionali dell’economia digitale nei luoghi di vendita di prodotti e servizi. La Commissione oggi afferma infatti che gli utili andavano tassati in Lussemburgo, non negli altri Stati europei in cui Amazon operava”.
Ma la decisione che la Commissione si appresta a comunicare, probabilmente già mercoledì, può generare un effetto domino negativo per la stessa economia europea, che potrebbe vedersi scappare di mano le sedi legali delle multinazionali che sta oggi mettendo sotto la lente. “L’impressione è che si stia inasprendo il conflitto tra Unione Europea e Stati Uniti sul diritto a tassare gli utili delle multinazionali americane, con rischi di ritorsioni e possibili effetti indesiderati per gli interessi europei, come il trasferimento delle sedi delle operazioni europee in paesi non appartenenti all'Unione (ad esempio la Gran Bretagna post-brexit) o il loro rimpatrio in America favorito dall'annunciato taglio dell’aliquota della corporation tax”, conclude Stevanato. Sarà infatti la risposta americana a queste politiche europee a determinare le prossime mosse delle multinazionali americane, e dopo le multe miliardarie a Apple e Google il clima oggi è ancora più aspro.