Il mondo va a tutto gas, meno l'Europa
La crescita della domanda asiatica si confronta con la preferenza europea per carbone e rinnovabili
Roma. Il mercato del gas è ad un punto di svolta? Solo qualche anno fa l'Agenzia internazionale per l'energia pubblicava cinque anni fa un report entusiasta circa le sorti di questa fonte annunciando l'ingresso in una era d'oro per il gas. Lo scenario, però, non sembra essersi pienamente realizzato, con la sola eccezione degli Stati Uniti, dove la rivoluzione dello shale gas ha superato le aspettative, mettendo in difficoltà i tradizionali produttori.
Proprio in questi giorni il tema è tornato alla ribalta con la pubblicazione del Global Gas Report 2017 presentato alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies di Washington. Il report suggerisce che la domanda mondiale di gas ha raggiunto un potenziale punto di svolta, spinta da una crescente liquidità, dall'aumento della competitività dei costi rispetto ad altri combustibili e da una maggiore consapevolezza del ruolo che può giocare ai fini della decarbonizzazione. Molto del futuro del gas dipenderà dalla Cina, come ha detto l'amministratore delegato di Snam (che ha curato il Gas Report), la Cina è "l'elefante nella stanza" del mercato mondiale del gas e trainerà la domanda nei prossimi anni. Una richiesta che il governo cinese intende incrementare certamente per intercettare gli impegni internazionali assunti in termini di decarbonizzazione, ma anche per ridurre il rischio geopolitico di approvvigionamento dal petrolio.
Per questo motivo Pechino sta portando avanti alcuni progetti di cooperazione di cui il principale è quello per la creazione di un corridoio economico con il Pakistan utilizzando il porto commerciale per Gwadar. Ma uno degli scacchieri dove si gioca il futuro del gas è certamente l'Europa. Il Vecchio Continente è infatti tornato al centro di una geopolitica del gas sempre più fitta. Bruxelles, negli ultimi anni, ha puntato in modo particolare sull'apertura di un Corridoio energetico sud, per portare il gas del Caspio e del Mediterraneo in Europa, attraverso il Tap, che finalmente in Italia sembra aver avuto via libera definitivo con le decisioni della Consulta, ma anche sulle interconnessioni interne per aumentare la dipendenza energetica dalla Russia dei paesi orientali di nuovo ingresso nell'Ue. Mosca stessa sembra non smettere di puntare sul mercato del gas europeo, alimentando lo storico legame con la Germania, ha rilanciato su tutte le traiettorie di espansione. Il progetto di raddoppio del Nord Stream ma anche il ripristino di una linea per il trasporto del gas per l'Europa meridionale, dalle ceneri del South Stream.
L’aumento della dipendenza dalle importazioni è un derivato del declino della produzione continentale unita al calo dei consumi del 2,6 per cento annuo dal 2010 al 2015. Il calo è dovuto sia, in parte, alla recessione, sia appunto a un calo della capacità di generazione di energia da gas che è stata insidiata da una combinazione di produzione di energia da combustione di carbone, con alte emissioni, e di energie rinnovabili, che ambiscono ad azzerare le emissioni. Uno iato nella transizione energetica. Nonostante le proiezioni ottimistiche sulla crescita della domanda europea del gas nei prossimi anni, alcune nubi si stanno facendo sempre più dense, mettendo a rischio l'industria estrattiva. Le prime riguardano il rigurgito ambientalista sui progetti energetici delle fonti fossili che rischia di mettere in difficoltà gli investimenti. Uno dei principali gruppi finanziari francesi, Bnp Paribas, ha annunciato di voler sospendere il finanziamento ai gruppi specializzati nella produzione di petrolio e shale gas, in linea con i desiderata del neo presidente francese Macron. La rivale Societe Generale ha detto l’anno scorso che non finanzierà più impianti di generazione di elettricità a carbone mentre il Credit Agricole non finanzierà le estrazioni di carbone. Un cambiamento climatico nel settore bancario francese .
Un altro tema è quello che riguarda il quadro regolatorio. Da tempo, infatti, la Commissione europea è alle prese con la riforma del sistema Ets (Emissions trading scheme). Il complesso meccanismo che regola le emissioni di anidride carbonica. Una riforma ampiamente auspicata anche per incentivare la transizione verso il gas nei settori cosiddetti energivori (industria e trasporti), che però si è impantanata per il volere di alcuni paesi sempre più aggressivi in termini di negoziati comunitari come la Polonia e l'Ungheria che continuano a sostenere la generazione elettrica a carbone e puntano a rallentare i negoziati. Evoluzioni che non fanno sperare niente di buono per quella che potrebbe essere l'energia del futuro.