Salvatore Rossi, candidato per la successione a Visco (Foto LaPresse)

Battaglia istituzionale su Bankitalia

Stefano Cingolani

Il Pd s’oppone al Visco bis. Il Quirinale richiama all’ordine. La carta è Salvatore Rossi

Roma. Sulla Banca d’Italia è scoppiata una tempesta politica e istituzionale inattesa anche se a lungo minacciata. Sembrava che il Consiglio dei ministri di lunedì dopo aver approvato la finanziaria, varasse anche la conferma di Ignazio Visco al vertice della Banca d’Italia. Ma le cose non sono andate lisce. Il rinvio ha suscitato i primi sospetti diventati certezza quando ieri pomeriggio il partito democratico presenta alla Camera una mozione per chiedere al governo di individuare “la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’istituto”. La formulazione è forte, anche se è stata ammorbidita su richiesta del ministero dell’economia. “Nuova fiducia” significa sfiducia nei confronti del governatore Visco. Come desiderava Matteo Renzi il quale, però, sottolinea di non avere nessun ruolo formale nella nomina. “Oggi il Pd non ha messo in discussione le regole del gioco o il rispetto istituzionale”, dice.

 

 

La mozione viene approvata con 213 voti favorevoli e l’appoggio del governo il che suscita un interrogativo chiave: Paolo Gentiloni non ha tenuto ferma la sua intenzione di confermare Visco? A questo punto scende in campo il presidente della Repubblica che ha l’ultima parola sulla nomina. In una nota ufficiosa Sergio Mattarella “esprime l’avviso che le prese di posizione riguardanti la Banca d’Italia debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto nell’interesse della situazione economica del nostro paese e della tutela del risparmio degli italiani e che a questi princìpi debba attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”.

  

Il testo originario della mozione, presentata da Silvia Fregolent come prima firmataria, era molto sferzante: le crisi bancarie “avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione”, così stava scritto gettando la responsabilità su una inefficace azione della Vigilanza che “ha costretto il governo e il Parlamento ad approvare interventi straordinari”. Troppo, il governo così non poteva dare parere favorevole, soprattutto perché di fatto avrebbe chiuso la porta a soluzioni interne meno traumatiche. Il passaggio è stato attenuato su richiesta del sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta, anche se il testo successivo continua a essere molto critico: “L’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, sulle cui ragioni si pronunceranno gli organi competenti, ivi compresa la Commissione di inchiesta”. Dunque, qualcosa è cambiato nello spazio di un mattino (o meglio di un pomeriggio) anche a Palazzo Chigi se il governo ha potuto dare parere favorevole a una mozione fortemente critica verso la Banca d’Italia? In realtà più passano le ore più lo scontro si fa acuto, più la mossa del Pd appare una forzatura. Tanto che in serata arriva sia la nota del Quirinale sia una presa si posizione di Via Nazionale nella quale sottolinea che “La Banca d’Italia fa interamente il suo dovere nelle diverse funzioni che svolge, applicandovi competenza e coscienza. In particolare nella vigilanza bancaria, in questi anni segnati dalla più grave crisi economica della storia moderna d’Italia, ha difeso il risparmio nazionale limitando i danni”. La nota ricorda le segnalazioni alla magistratura e chiama in causa il governo con il quale ha agito “in continuo contatto” (e a Palazzo Chigi allora c’era Renzi). Visco inoltre ha parlato con Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione d’inchiesta, al quale “sottometterà ogni documento rilevante”.

 

La partita, dunque, è aperta. Se passa la linea che sembra trasparire dalla nota di Mattarella, Visco potrebbe essere confermato. Dalla levata di scudi quirinalizia, sembra esclusa una soluzione esterna. Se passa la successione soft, il primo candidato è il direttore generale Salvatore Rossi sul quale scommette il Pd) o, in seconda battuta, Fabio Panetta che si occupa dei rapporti con l’Eurosistema, cioè con la Banca centrale europea. Rossi è stato dal 2000 responsabile del servizio studio cambiandone in parte l’orientamento: non solo moneta e macroeconomia, ma analisi, anche sul campo, della economia reale e dell’industria in modo particolare. Attento al mercato e alla concorrenza, sia nelle ricerche del servizio studi sia nei suoi numerosi libri scritti con chiarezza divulgativa, Rossi batte il chiodo sulla concorrenza insufficiente e sul divario che divide il paese non solo in due, ma in più Italie. In un recente articolo per il Foglio, ha smontato il meridionalismo piagnone e assistenzialista. Il saggio di maggior successo (“La regina e il cavallo, quattro mosse contro il declino”, pubblicato nel 2006) attacca il senso comune declinista: “L’Italia non è destinata a una irrimediabile decadenza, invece è impegnata in una complessa partita a scacchi”.

 

Come direttore generale si è occupato in particolare di assicurazioni perché è diventato responsabile dell’Ivass, l’istituto di vigilanza sulle compagnie, tuttavia non ha smesso di offrire idee e suggerimenti fuori da una certa attitudine curiale che ha caratterizzato a lungo la banca centrale. Vedremo come andrà il totonomine. Il governo deve decidere, ma l’ultima parola spetta a Mattarella. E non si può dimenticare che da Francoforte in molti osservano con occhio ansioso e partecipe, a cominciare da Mario Draghi. Mentre i mercati già si chiedono se è tornata la solita Italia confusa e inaffidabile.