Perché il no di Renzi a Visco
Il caso bail-in ma non solo. Da dove nasce la diffidenza del segretario del Pd nei confronti del governatore
Roma. La mossa irrituale di Matteo Renzi di promuovere una mozione contraria al rinnovo del governatore Ignazio Visco alla Banca d’Italia martedì alla Camera è stata censurata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, favorevole a Visco, dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e ieri, con sufficienza, da Giorgio Napolitano (“mozione Pd? Non devo occuparmi di cose deplorevoli”), oltre che da Carlo Calenda e da Walter Veltroni (“atto incomprensibile e ingiustificabile”). Tuttavia il segretario del Pd ha ribadito che “sulle banche è successo di tutto”, sostiene che “c’è stata una vigilanza inefficace” e chiede una “fase nuova” (con un probabile tentativo di mediazione sul direttore generale Salvatore Rossi per il dopo Visco). Ma cos’è che Renzi esattamente contesta a Visco?
I problemi delle banche italiane saranno un argomento sensibile in campagna elettorale la prossima primavera. Il segretario del Pd spera di distogliere l’attenzione degli elettori da se stesso sul tema banche (incubo Etruria) e indirizzare il rancore popolare verso l’organo di vigilanza per come ha gestito situazioni di dissesto e non ci sta a passare da amico dei banchieri. La trasformazione delle banche popolari in più grandi società per azioni (riforma del gennaio 2015) è stata una scelta di cui si può intestare il merito: ha arrestato l’abuso del modello a mutualistico, foriero di varie distorsioni, consigli auto-referenziali, vertici immobili, cattive gestioni che dissipavano patrimonio. Se ne discuteva dal 1987. Che il tema banche avrà una centralità nella campagna elettorale di Renzi lo si evince poi anche dal fatto che il segretario del Pd sta preparando la sua candidatura alle politiche in terra d’Arezzo, sede di Banca Etruria, epicentro degli attriti con Banca d’Italia. Etruria è un argomento di propaganda consumato per via della presenza nel consiglio di Pier Luigi Boschi nel 2011, vicepresidente dal 2014, che ha pesato nel referendum costituzionale che l’ha visto sconfitto. Nel 2015 Etruria è stata commissariata da Banca d’Italia e infine posta in procedura di risoluzione in anticipo di un mese rispetto all’introduzione del bail-in insieme ad altre quattro banche, poi vendute in blocco a Ubi (le modalità con cui è stato accettato il bail in sono al centro della critica del Pd al governatore).
Le ispezioni dell’Autorità sono cominciate nel 2012 e gli ex vertici sono stati assolti dal reato di ostacolo all’Autorità di Vigilanza (“il fatto non sussiste”) dal tribunale di Arezzo l’anno scorso. Significa che i dirigenti di Etruria sono stati collaborativi. La banca, quotata in Borsa, era riuscita a realizzare un aumento di capitale da 100 milioni sul mercato che poi si è rivelato insufficiente ed è stata costretta a emettere 60 milioni di obbligazioni subordinate per compensare le perdite sopraggiunte nel frattempo. L’ispezione nell’istituto del team guidato da Emanuele Gatti, noto per essere rigoroso, che riporta direttamente al capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria, Carmelo Barbagallo, si conclude nel dicembre 2013 e individua forti difficoltà (poca redditività, carenze manageriali e qualità del credito degradante a causa di scarsi di impieghi). Nello stesso momento Banca d’Italia caldeggia un’aggregazione da realizzare entro pochi mesi, nel marzo 2014. All’inizio l’Istituto sembrava privilegiare come fidanzata ideale la Banca Popolare di Vicenza di Gianni Zonin (poi caduto in disgrazia perché co-artefice del dissesto della banca veneta, soccorsa dallo stato). Zonin pretendeva un’acquisizione e rifiutava la fusione con l’istituto toscano.
Etruria nel frattempo vedeva sfumare opzioni alternative tra cui la collaborazione con il fondo Algebris, l’avvicinamento dell’israeliana bank Hapoalim e abboccamenti con l’emiliana Bper. Dell’operazione Zonin non s’è fatto nulla: Banca d’Italia deve avere cambiato idea. Lo svolgimento dei fatti verrà accertato dalla commissione d’inchiesta che ha convocato il capo della Vigilanza la settimana prossima, e che poi sentirà Visco. Nel suo libro-manifesto “Avanti” Renzi scrive che “quando arriviamo a Palazzo Chigi il dossier banche è uno di quelli più spinosi. Ci affidiamo quasi totalmente alle valutazioni e alle considerazioni della Banca d’Italia, rispettosi della solida tradizione di questa prestigiosa istituzione. E questo è il nostro errore, che pagheremo assai caro”. La frustrazione di Renzi verso Palazzo Koch nasce così e dall’intenzione di non essere il fantoccio aggredito dalla piazza dei “risparmiatori traditi” in campagna elettorale. E la volontà di non “appiattire” il Pd sulla linea Visco forse si spiega anche così.