Radiografia della casa allo straniero
C’è una domanda potenziale di 3,2 milioni di immigrati che non trovano facilmente affitto, mentre un milione sarebbe in grado di comprare casa
Roma. Lavorano, fanno acquisti, studiano, si sposano e fanno figli, vivono per lo più in affitto e desiderano ardentemente comprare casa, perché è questa la vera prova della loro integrazione. E' il quadro emerso dall’incontro sui “nuovi italiani” organizzato da Sidief e Banca d’Italia martedì. Rispetto agli italiani, gli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese sono più giovani e più prolifici, vantano tasso di disoccupazione più basso sebbene una minore scolarizzazione.
Ma come vivono i circa 5 milioni di “nuovi italiani” che risiedono da noi? Il 65 per cento è in affitto, quindi la domanda potenziale di case è di 3,2 milioni di persone. Spesso coabitano, oppure vivono in micro case dove un italiano non starebbe mai perché in cattive condizioni e magari lontane dal centro, cosa che determina un turn over ogni tre anni. E, soprattutto, riscontrano sempre grande diffidenza da parte dei proprietari italiani, che preferiscono destinare le proprie abitazioni ai connazionali o agli studenti, o sempre più spesso ai turisti per un affitto temporaneo. Nonostante le difficoltà, l’Italia è un paese nel quale gli immigrati che lavorano regolarmente vogliono rimanere in pianta stabile – e questo vale soprattutto per quanti provengono dai paesi vicini, come i romeni, che si sentono più affini alla cultura italiana.
E' possibile capitalizzare questa nuova domanda, che tra l’altro è in continua crescita? Secondo Carola Giuseppetti di Sidief di fatto c’è già chi ha saputo “approfittare” e mettere a frutto le esigenze abitative degli immigrati: a Vienna studenti e richiedenti asilo convivono in un antico immobile adattato allo scopo, ad Amburgo e a Monaco di Baviera si offre ai cittadini stranieri che vivono regolarmente in città di collaborare alla costruzione delle proprie case con un “kit di autocostruzione”. Ci vorrebbero investitori coraggiosi per progetti di ristrutturazione di immobili già esistenti, con la collaborazione dello stato.
E intanto i proprietari approfittano delle formule di affitto a canone concordato dimostrando di saper cavalcare il maggior potere di spesa degli stranieri residenti, precorrendo in questo i grandi capitali e anche le politiche abitative. Che è meglio di niente, ma non è sufficiente a rispondere alla necessità di case degli stranieri. Uno dei problemi all’acquisto, ad esempio, oltre alla diffidenza che è un fattore schiettamente culturale, è la carenza di garanzie per accendere un mutuo, oggi fondamentale.
Quali caratteristiche deve avere la casa ideale? Mancando completamente gli aiuti dalla famiglia d’origine e spesso anche una comunità d’appartenenza, la migliore soluzione è adattare il patrimonio abitativo esistente senza stravolgerlo. Sarebbe inoltre importante garantire un’equa “dispersione” nella città, onde evitare quartieri-ghetto. Insieme a spazi comuni per la formazione e per le attività da svolgere insieme, occorre lavorare su contratti flessibili, personalizzazione degli ambienti, accesso alle tecnologie, risparmio economico ed energetico, servizi di assistenza, postazioni di lavoro.
E se, come ha spiegato l’economista Mario Deaglio, c’è extracomunitario ed extracomunitario (ad esempio i cinesi sono meno integrati ma molto rispettosi delle usanze del paese che li ospita), l’emigrazione ha ormai una doppia faccia. Chi arriva in Italia mantiene spesso un legame forte con il paese d’origine: impara un lavoro e a volte torna indietro, restituendo alla madre patria quanto acquisito negli anni di lontananza. Ma, è il caso della Romania, anche il paese straniero può diventare anche una meta per i cervelli in fuga. Aumentano i giovani laureati italiani che accettano di lavorare nell’Est Europa per le multinazionali che ormai vi delocalizzano interi settori di produzione. E gli stranieri residenti possono persino ripopolare paesini di provincia mezzo abbandonati, dove c’è bisogno di loro per “i lavori che noi italiani non vogliamo più fare”.