Il rinnovo del contratto degli statali svela il difetto del "bonus 80 euro"
Così nella legge di Stabilità vengono al pettine i nodi del bonus da 80 euro
Roma. Nella legge di Stabilità i nodi del bonus da 80 euro vengono al pettine. Il provvedimento era stato pensato dal governo Renzi come un modo per mettere soldi, in maniera visibile, nelle tasche di una parte definita di cittadini: i lavoratori dipendenti con un reddito tra gli 8 mila e i 24-26 mila euro l’anno. Ora, il meccanismo con cui è stato disegnato il provvedimento, rischia di ritorcersi contro chi l’ha scritto – o comunque di mostrare i suoi limiti – proprio per un nuovo bonus, molto simile al primo (85 euro) e destinato a una parte degli stessi beneficiari, previsto nella manovra: il rinnovo dei contratti degli statali.
Sappiamo che la legge di Stabilità in discussione nelle prossime settimane in Parlamento prevede la mobilitazione di circa 20 miliardi, in gran parte utilizzati per la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (blocco dell’aumento dell’Iva e delle accise) per il costo di circa 15 miliardi. Delle risorse restanti, gran parte è destinata al rinnovo del contratto per il pubblico impiego: 1,65 miliardi, che si aggiungono a 1,2 miliardi precedentemente previsti, e che dovrebbero garantire aumenti medi mensili di 85 euro per gli statali.
Ma qui si pone una criticità non da poco, visto che circa 400-500 mila dipendenti pubblici – in stragrande maggioranza impiegati nella scuola, circa il 40 per cento dei docenti – ha un reddito di poco inferiore a 25 mila euro e quindi, ad oggi, percepisce il bonus 80 euro introdotto dal governo Renzi. Il problema è che per gli impiegati di questa fascia, l’aumento contrattuale farebbe superare la soglia: in pratica il bonus da 85 euro previsto dalla legge di bilancio si mangerebbe, in gran parte, il bonus da 80 euro. Sia governo che sindacati sono d’accordo nel trovare un modo per evitare questo inconveniente: tutti i dipendenti pubblici interessati devono ricevere entrambi i bonus.
Ma la soluzione non è semplice per due ordini di motivi. Intanto c’è un problema tecnico nell’individuazione di uno strumento che blocchi il meccanismo delle soglie previsto dal bonus Renzi. E’ praticamente impossibile intervenire per via legale: non si può cambiare la legge solo per gli statali (sarebbe incostituzionale) e sarebbe molto costoso fare una modifica generale che avrebbe una ricaduta anche sui contratti privati. La soluzione a cui stanno lavorando governo e sindacati è invece di tipo contrattuale, magari con un aumento maggiore che compensi la perdita degli 80 euro, ma anche in questo caso ci sarebbe un costo aggiuntivo. Che non è poi così marginale: secondo alcune stime preliminari dell’Aran sarebbero necessari 200 milioni di euro (quasi quanto l’esecutivo mette nel reddito d’inclusione per gli indigenti). Fonti del governo assicurano che questa somma sarebbe inclusa nel fondo stanziato, mentre i sindacati sono dubbiosi e affermano che la cifra necessaria a sterilizzare la perdita del bonus 80 euro deve essere uno “stanziamento extra”.
Ma a parte queste piccole divergenze tra governo e sindacati, che sono concordi sull’obiettivo e quindi c’è da scommettere che troveranno un’intesa soddisfacente, questa storia dovrebbe spingere il governo a porsi almeno un paio di riflessioni. La primo riguarda l’equità tra cittadini: perché mai i dipendenti statali dovrebbero essere trattati diversamente dagli altri lavoratori? Per i dipendenti del settore privato il meccanismo degli 80 euro ha funzionato in maniera spietata: oltre 1,5 milioni di contribuenti hanno dovuto restituire il bonus, in gran parte perché hanno guadagnato più di 26 mila euro ma molti anche perché hanno guadagnato meno di 8 mila euro. E’ vero che per gli statali l’aumento del contratto e la contemporanea perdita del bonus sarebbe una beffa, ma non è stato così anche per gli altri contribuenti?
Questo conduce direttamente alla seconda riflessione, che riguarda il bonus 80 euro e come è stato disegnato. Il meccanismo, studiato in modo da rendere visibili gli 80 euro in più in busta paga, ha stravolto le aliquote marginali effettive dell’Irpef che crollano spaventosamente in ingresso (basta superare di 1 euro la soglia da 8 mila per riceverne quasi mille) e si impennano in uscita (tra i 24 e i 26 mila euro, ogni euro guadagnato in più viene tassato dal 50 al 100 per cento). Ed è per questo funzionamento perverso che l’aumento di 85 euro agli statali si mangia il bonus da 80 euro. Il governo e i sindacati pensano di aggirare questo problema con una toppa o un accrocchio (per gli statali), sarebbe invece il caso di pensare a una riforma dell’Irpef che semplifichi il sistema ed elimini le distorsioni (per tutti).