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Perché l'ottimismo razionale non può restare confinato al pil

Marco Fortis

Come possiamo misurare la capacità degli imprenditori italiani di navigare con passione i mercati mondiali?

A una settimana dalla festa fogliante di Firenze sull’ottimismo come si conciliano i dati Istat sulla fiducia delle imprese al top da giugno 2007 e il boom degli ordinativi dell’industria? Sarebbe semplice dire che l’economia italiana sta finalmente vivendo una fase eccezionalmente positiva, dopo la lunga ed interminabile crisi del 2009-2013, e che le politiche economiche a “rilascio lento” degli ultimi tre anni e mezzo stanno toccando proprio adesso l’apice della loro efficacia. I benefici del Jobs Act sulla occupazione sono stati recentemente riconosciuti anche dal Presidente della Bce Mario Draghi, con la creazione di più di mezzo milione di posti di lavoro stabili. La Banca d’Italia stima che il pil del terzo trimestre progredirà dello 0,5 per cento, sicché l’obiettivo di una crescita annua dell’1,5 per cento appare ormai sempre più alla nostra portata. La produzione industriale italiana sta aumentando in questo momento più di quella tedesca. L’export è ai massimi storici. I consumi delle famiglie sono in costante ripresa e gli investimenti delle imprese sono trainati dal Piano Industria 4.0.

     

Ma l’ottimismo deve basarsi sempre sulla razionalità. Per cui è utile e doveroso chiederci se questo mini-boom della nostra economia continuerà. Inoltre, poiché alla festa fogliante di Firenze il sindaco Dario Nardella ha riproposto nel suo intervento di apertura la famosa riflessione di Bob Kennedy sul pil che misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta, potremmo porci perfino una domanda più ambiziosa. E cioè: è adatto il pil a cogliere quel contenuto di passione per il proprio lavoro che gli imprenditori italiani posseggono in misura eccezionale, assai più dei loro colleghi di altre parti del mondo? Una passione che accomuna i produttori di vini delle Langhe e del Chianti, della Franciacorta e del Friuli, della Sicilia e del Veneto allo stesso modo che i produttori bellunesi di banconi frigoriferi per i supermercati, i produttori di pompe di Modena e quelli di rubinetti del Lago d’Orta, i produttori di macchine per imballaggio di Bologna, di mobili del trevigiano e della Brianza, di calzature delle Marche o gli stilisti della moda. Gente che produce anche per passione, appunto, orgogliosa ed entusiasta del proprio lavoro e non soltanto interessata al puro profitto, lontana anni luce dai modelli facili di arricchimento di certa ultra-finanza. Che cosa è questa passione che innerva il made in Italy se non puro ottimismo?

   

Rispondere alla prima domanda è più facile. Sì, i dati sugli ordinativi dell’industria di agosto inducono a pensare che il mini-boom dell’economia italiana continuerà. Nel periodo gennaio-agosto 2017 gli ordini dell’industria sono cresciuti mediamente del 6,9 per cento rispetto all’analogo periodo dello scorso anno. I settori più interessati dagli incentivi fiscali del piano Industria 4.0 hanno fatto registrare gli aumenti maggiori: più 26,4 per cento la fabbricazione di elettronica, più 12,1 per cento la fabbricazione di apparecchiature elettriche e più 13,9 per cento la fabbricazione di macchinari ed apparecchi per l’industria e per impieghi generali. All’interno di quest’ultimo settore, gli ordini di macchine utensili sono aumentati nei primi otto mesi del 2017 del 23,4 per cento, quelli di altre macchine specializzate per l’industria del 19 per cento e quelli di macchine ed apparecchi per impieghi generali del 17 per cento. Mi raccontava pochi giorni fa un imprenditore del settore idrotermosanitario la cui azienda fattura circa 50 milioni di euro che in questi mesi sta investendo in un colpo solo ben 12 milioni in tecnologie 4.0: “Le conviene venire a vedere una ultima volta la mia vecchia fabbrica perché dopo questi investimenti non sarà più la stessa, sarà una realtà completamente nuova”. Quanto impatterà sul pil del secondo semestre questa importante ondata di investimenti? E’ difficile dirlo ma alcuni analisti stanno cominciando a pensare che l’economia italiana potrebbe crescere quest’anno perfino un po’ di più dell’1,5 per cento atteso.

  

  

Rispondere alla seconda domanda è più difficile. Ma abbiamo il fondato sospetto che la famosa riflessione di Bob Kennedy sul pil risulti un po’ riduttiva rispetto a quell’Italia che lavora nella manifattura, nell’agricoltura, nel turismo e nelle professioni che, nonostante i problemi strutturali e le inefficienze del paese, non si perde mai d’animo. Nel pil italiano, infatti, sono indubbiamente ricomprese in misura importante, e in misura maggiore che nei pil di altri paesi, anche molte cose per cui vale la pena di vivere: in primo luogo la passione con cui tante piccole e medie imprese producono beni di alta qualità e di alta tecnologia. Un entusiasmo produttivo capillare e diffuso, fatto di innumerevoli individualità. Se tutta questa passione venga poi colta a lato pratico nella misurazione statistica del pil è un altro discorso. Ma il semplice fatto che questa passione esista e la si possa cogliere tangibilmente in migliaia di aziende sparse sul nostro territorio dovrebbe indurci di per sé ad un maggiore e più razionale ottimismo sull’Italia.

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