E Topolino si mangiò la volpe
Avviati i colloqui tra il colosso Disney e la Fox di Murdoch. La sindrome digitale scatena grandi appetiti
Topolino si mangia la volpe? Perché no, tutto può accadere. I vecchi equilibri sono saltati, i nuovi sono tutti da costruire e in questa terra di nessuno nulla è impossibile. Ecco perché in Borsa sono pronti a credere a ogni voce; altro che logaritmi, gli operatori indossano il mantello degli aruspici attenti a interpretare il volo delle parole. Sembra un apologo di Esopo o forse un cartone animato (visto che il topo è niente meno che Mickey Mouse e la volpe è la Century Fox) trasformato in videogioco per gli schermi di Wall Street. La notizia che la Walt Disney voglia prendere dalla Fox di Rupert Murdoch sia gli studi cinematografici sia la televisione, compresa Sky, è balzata lunedì sulla prima pagina dei giornali economici. I colloqui sono stati avviati da Bob Iger, amministratore delegato della Disney, e per il momento sono rimasti per così dire a mezza bocca, ma sono bastati per segnalare a Wall Street che il castello di Murdoch è pronto a calare il ponte levatoio. Il vecchio “squalo” sarebbe pronto a smontare il colosso che aveva costruito pezzo dopo pezzo con grande maestria e senza andare troppo per il sottile durante tutta una vita? Come mai?
Murdoch è stanco e vuole sistemare il proprio impero sul quale non tramonta mai il sole, ma non è sorta nemmeno la luna della rete nonostante i reiterati tentativi. “All’età di 86 anni ha perso ormai l’appetito per la lotta”, scrive il Financial Times. Il fatto che ai colloqui abbiano partecipato anche i figli Lachlan e James dimostra che siamo di fronte a un dilemma davvero strategico che coinvolge anche gli eredi. Per la verità, il vecchio leone (definizione che oggi come oggi è appropriata) ha tentato il colpo da maestro, ma non gli è riuscito. Tre anni fa aveva cercato di prendersi Time Warner, ma era stato respinto. Da allora il tarlo ha cominciato a rodere. Murdoch è convinto che non aver raggiunto la taglia ideale, quella che consente di mobilitare gli ingenti capitali fagocitati dall’industria dell’intrattenimento e senza le sinergie conseguenti, nemmeno il suo colosso, che pure è uno dei primi al mondo potrà sopravvivere. Molti analisti sono rimasti comunque sorpresi. La gestione di Fox è nelle mani dei figli ed entrambi non hanno mai dato alcun segnale di voler mollare il controllo, Lachlan in particolare è coinvolto da tempo in Sky e ha passato gli ultimi dieci anni nel tentativo di prenderne il completo controllo acquistando il 61 per cento che resta sul mercato, anche a rischio di scatenare le reazioni dei politici britannici e l’allarme dell’antitrust. E adesso, dopo aver speso tanto in quattrini ed energie, i Murdoch mollano tutto? Nessuno può dire che abbiano bisogno di soldi e Fox sta andando bene soprattutto grazie alla tv via cavo che è diventata dominante e dalla quale provengono tre quarti dei profitti (quasi 8 miliardi di dollari quest’anno). Disney è un concorrente diretto e nessuno può escludere per davvero che, apologhi a parte, prima o poi il topolino fagociti la volpe.
Proprio adesso i Murdoch mollano tutto? Non si può dire che abbiano bisogno di soldi e Fox sta andando bene grazie alla tv via cavo
La creatura di zio Walt è diventata un colosso, anzi un Behemoth per i suoi numerosi nemici, certo è che ha preso tutto quel che c’era sul mercato, comprese la Pixar fondata da Steve Jobs quando, defenestrato da Apple, non poteva certo trattenere la sua creatività, la Marvel dei super eroi e Lucasfilm di “Guerre stellari”. Perché mai vuol crescere ancora? Anche lei è contagiata dal gigantismo che affligge questi “stati negli stati” con fatturati più grandi del prodotto lordo della Grecia? In campo non c’è solo la Disney, sia la Verizon sia la Charter Communications sostenuta da John Malone (lo stesso che si è accaparrato la Formula 1 automobilistica) sono pronte a scendere nell’arena. Mentre rischia di saltare la fusione tra AT&T e Time Warner che un anno fa aveva aperto il gran ballo dei mass media.
L’American Telegraph and Telephone, l’ex monopolista nordamericano che risale a Alexander Graham Bell, nell’ottobre 2016 ha annunciato di voler acquistare Time Warner per 85 miliardi di dollari e tutti i concorrenti sono finiti nel pallone. Tredici mesi dopo, l’acquisizione non è ancora completata, perché aspetta il visto del dipartimento della Giustizia che si è messo di traverso, sollevando obiezioni serie e ben fondate a difesa della concorrenza, ma non solo. La Cnn, posseduta da Time Warner, è la bestia nera di Donald Trump. Il nuovo capo della divisione antitrust, Makan Delrahim, appena ottenuto il bollino del Senato, ha preso in mano il dossier, intenzionato, secondo il Wall Street Journal (controllato da Murdoch), a far ricorso in tribunale per bloccare l’acquisizione. Un favore al presidente che in campagna elettorale aveva giurato di far saltare l’accordo. L’amministrazione Trump ha posto come condizione per consentire la fusione che venga scorporata la Cnn lasciata a se stessa, sapendo bene che non sarà in grado di reggersi sulle proprie gambe. AT&T finora ha resistito, ma fino a quando?
A Londra fanno fuoco e fiamme per salvaguardare Sky e i suoi azionisti. A Parigi e a Roma i governi giocano in difesa
A Wall Street, così, è girata la voce che a questo punto proprio Murdoch, che con Fox News ha sostenuto The Donald, possa farsi avanti di nuovo per Time Warner, una volta chiuse le trattative con Disney e di fronte ai veti dell’amministrazione nei confronti di AT&T. Una ipotesi in totale contrasto con lo scenario di uno squalo che pensa solo al buen ritiro. Chi ha ragione? Che cosa è vero e cosa è un puro ballon d’essai? La confusione regna sovrana sotto il cielo, ma la situazione nel mondo dei mass media non è affatto eccellente. Nessuno è più sicuro che domani sia ancora valido quel che sta facendo oggi. Le tv a pagamento, in particolare le reti via cavo sono ormai spiazzate da internet, lo streaming (spesso gratuito o facilmente piratabile) ha messo in pericolo la possibilità stessa di guadagnare quattrini con questa attività. Nel frattempo anche i proventi della pubblicità si restringono, spalmati come sono su tanti e così diversi attori. I giornali in carta ne hanno già sofferto, adesso tocca alle televisioni commerciali.
Il mondo dell’intrattenimento e della comunicazione, ormai sempre più integrato in una sola filiera industriale e finanziaria, sembra in preda al panico, tutti vogliono crescere per non morire, si mangiano a vicenda travolti da una frenesia tecnologica chiamata sindrome digitale. Le speculazioni sul futuro della Fox fanno entrare oggettivamente nel grande gioco anche il piccolo mercato italiano nel quale Murdoch ha giocato e gioca un ruolo di rilievo. Si era affacciato già alla fine degli anni 90 quando sembrava che volesse acquistare Mediaset. Allora fu Massimo D’Alema, presidente del Consiglio, a proclamare il suo “niet”, in nome dell’interesse nazionale. Qualcuno ha sempre sospettato che fosse un’altra furbata di Silvio Berlusconi. Ma altre fonti giurano che l’allora Cavaliere, malato e un po’ depresso, volesse davvero vendere tutto e ritirarsi in Sardegna con un bel pacchetto di contanti e di azioni. Poi Murdoch ha lanciato Sky in Italia, una tv a pagamento che, vincendo lo scetticismo dei soloni nostrani, è diventata il terzo soggetto televisivo, se non proprio il terzo polo, mettendo a segno anche un bel successo professionale nell’informazione televisiva, scattante, obiettiva e 24 ore su 24 a differenza dalla Rai e dalla stessa Mediaset.
Il mondo dell'intrattenimento e della comunicazione sembra in preda al panico: tutti vogliono crescere per non morire
Nel 2006 lo Squalo, a forza di nuotare vicino alle rive del Tirreno, s’era avvicinato alla barca di Marco Tronchetti Provera. Era spuntato un piano per vendere allo stato italiano, attraverso la Cassa depositi e prestiti, la rete telefonica in cambio di un via libera al matrimonio che avrebbe in tal caso portato in dote solo servizi e contenuti, compresa Sky. Ma il progetto non è andato avanti. Al governo c’era Romano Prodi il quale voleva che l’azienda restasse italiana. Lo scontro aprì la strada all’uscita di Tronchetti e all’ingresso degli spagnoli di Telefonica. Dopo molti anni, un paio di crisi epocali e tre cambi di proprietà, Telecom Italia è sempre allo stesso punto.
Intanto, però, è arrivato Vincent Bolloré con Vivendi. Nessuno ha ancora capito perché si sia preso un operatore telefonico in Italia dopo aver venduto quello che aveva in Francia, ma così è successo. Secondo la versione più accreditata, Telecom è un pezzo forte da usare in uno scambio di natura in parte diversa. Tanto che l’uomo d’affari bretone si è impadronito di quasi il 30 per cento di Mediaset, con uno dei suoi micidiali colpi di coda finanziari. Adesso siamo in fase di stallo perché s’è messo in mezzo il governo italiano esercitando il suo potere di veto chiamato golden power sugli asset considerati sensibili per la sicurezza nazionale (nemmeno fosse il Pentagono): prima le società che trasmettono dati militari o dei servizi segreti e della magistratura poi l’intera rete. Il risiko torna nella stessa casella dalla quale era partito una dozzina d’anni fa?
Anche Silivo Berlusconi come Rupert Murdoch sta almanaccando sulla sorte del suo regno e ha valutato insieme ai figli se maritarsi con qualcun altro. Ha risposto no a Vivendi, per il momento, spinto più dalle maniere predatorie di Bolloré che dalla sostanza: il modo ancor m’offende direbbe il poeta. Tuttavia è difficile credere che Berlusconi, con la sua gran rentrée in politica voglia decidere alcunché prima delle elezioni. Dunque, tutto fa pensare a una lunga fase di stallo. Senonché tutto cambia rapidamente, come abbiamo visto, anche nel mercatino italiano dove si diffonde la sindrome di Netflix. Anche se non possiede ancora una taglia e un potere di fuoco tale da mettere in crisi i godzilla del cinema e della tv, il nuovo arrivato ha già trasformato, come dicono gli esperti, il modello di business.
Le speculazioni sul futuro della Fox fanno entrare nel grande gioco anche il piccolo mercato italiano. L'arrivo di Bolloré con Vivendi
La Walt Disney capitalizza in Borsa 156 miliardi di dollari, è un pilastro del secolo americano e una corazzata del soft power quello con il quale zio Sam intende vincere lo scontro di civiltà; Netflix vale 84 miliardi, circa la metà, eppure fa paura perché cresce a un ritmo del 30 per cento l’anno, mentre le tv della Disney con un volume d’affari doppio, producono perdite non utili. Nel frattempo è entrata nell’arena Amazon Prime che segue lo stesso modello. Insomma spuntano una, dieci, cento copie di Netflix con poche varianti. e la rivoluzione digitale entra nella sua seconda fase.
La convergenza tra contenuti e contenitori è la fenice dei nostri tempi: che ci sia ciascun lo dice, dove sia (e se si potrà mai realizzare davvero) nessun lo sa. Spinge in questa direzione la tecnologia, non ci sono dubbi, molto meno certo è che un mega gruppo possa fare tutto bene, meglio di un’impresa focalizzata sul proprio mestiere. La convergenza è considerata una “innovazione distruttivo/costruttiva” come spiega McKinsey Global in un suo studio che viene aggiornato di anno in anno. Ma ancora nessuno ha capito se prevarrà la distruzione o la costruzione. Netflix, che offre video in streaming e li produce in proprio, ha già messo insieme tv e internet, le compagnie telefoniche che gestiscono sia i cavi sia i servizi sulla rete si sono lanciate alla rincorsa, anche se alcuni analisti avanzano il sospetto che sia una corsa tanto forsennata quanto alla cieca e l’offerta rischia di eccedere la domanda: ci sono troppe linee e troppo pochi clienti anche in Italia che pure è partita con gran ritardo (appena il 10-13 per cento ha firmato un contratto per internet superveloce). Ciò vale per la stessa pay tv colpita (e affondata?) da Netflix e dai suoi seguaci. Lo dimostrano le difficoltà di Premium, la televisione a pagamento di Mediaset, mentre in Francia Canal Plus posseduto da Vivendi, quindi controllato da Bolloré non riesce a stare in piedi, tanto che lo stesso finanziere bretone lo scorso anno ha detto che se non cambia la chiude. Il suo progetto di una Netflix del sud Europa nel quale vorrebbe far entrare Mediaset è in qualche modo un balzo in avanti per non cadere indietro.
Tutti sono ponti a condannare Trump e la brutale vendetta contro la Cnn, tuttavia gli Stati Uniti non sono la mecca del libero mercato in questo campo, tanto che Murdoch ha dovuto diventare cittadino americano per tenersi Fox e la politica ha l’ultima parola in tutto ciò che viene considerato di preminente interesse nazionale. A Londra fanno fuoco e fiamme per salvaguardare Sky e i suoi azionisti come racconta il Financial Times. A Parigi e a Roma la partita delle telecomunicazioni si gioca con i governi che non fanno da spettatori e nemmeno da arbitri, ma indossano la maglietta e si piazzano in difesa. In Italia il governo ha messo in moto l’Enel e la Cassa depositi e prestiti per sfidare Telecom sulla connessione internet ad alta velocità. Adesso vorrebbe che Telecom e Open fiber (la società controllata da Enel e Cdp) si mettessero insieme così da sgravare la compagnia elettrica e la Cdp da un peso rivelatosi eccessivo e offrendo in cambio un via libera di fatto ai disegni di Vivendi nei media. Una reazione a catena che dovrebbe scattare prima delle elezioni perché dopo chi vincerà vedrà.
I governi, di qua e di là dall’Atlantico, sostengono di agire nell’interesse nazionale. Può darsi, anche se esiste il legittimo sospetto che non ne sappiano certo una più del mercato. Ma il fatto è che nemmeno i grandi soggetti privati sanno bene dove andare, come stiamo vedendo con Fox, Disney, AT&T, Time Warner, Vivendi e la stessa Mediaset. Amanti riluttanti combinano al più presto matrimoni di convenienza e già preparano le carte per il divorzio. Per i sensali (le banche d’affari sono la moderna incarnazione di quel mestiere antico come la società umana) è un invito al sontuoso banchetto. Una Sky in vendita mette all’asta un gioiello che può diventare un pezzo importante nel gran baratto anche in Italia dove è asperrima la contesa sui diritti del calcio, gran boccone delle tv a pagamento, e dove la svizzera Infront che gestisce il marketing sportivo s’è messa in testa di creare la propria rete tematica in streaming. Così, dopo lo squalo e il caimano, dopo il topo, la volpe, l’ermellino (simbolo araldico dell’antico ducato bretone), arriva l’orso elvetico. Il gran bestiario dei media non finisce di stupire.