Il pil può battere le stime, superare il complesso del "fanalino di coda"
Non siamo più la nazione tramortita del 2013, e nemmeno un fenomeno, ma sicuramente un’economia in graduale e costante ripresa
I dati sul pil del terzo trimestre diffusi dall’Istat alimentano ulteriori speranze che l’economia italiana possa chiudere il 2017 con il botto, facendo meglio dell’obiettivo annuo di crescita dell’1,5 per cento previsto dal governo, a cui si sono via via allineate anche le previsioni di tutte le istituzioni internazionali. Queste ultime, così come molti osservatori e commentatori, soltanto fino a pochi mesi fa arrivavano a prefigurare per il nostro paese una crescita pari al massimo alla metà dell’1,5 per cento. Il quale, adesso, appare perfino un target agevolmente superabile. Infatti, nei primi tre trimestri del 2017 la crescita acquisita per l’anno in corso è già dell’1,5 per cento. A questo punto, fare perfino meglio dell’1,5 per cento dipenderà da due fattori. Il primo fattore è se vi sarà ancora un progresso significativo del pil nel quarto trimestre. Ciò è molto probabile dato che il piano Industria 4.0 sta alimentando un boom degli investimenti. Si può rozzamente stimare in prima approssimazione che basterebbe una crescita ulteriore del pil dello 0,3 per cento nel quarto trimestre per permetterci di arrivare a un più 1,6 annuo o addirittura a un più 1,7 se l’aumento trimestrale fosse un po’ più alto.
Occorre però tenere conto anche di un secondo fattore, cioè come a consuntivo si aggiusteranno, anche in base ai giorni effettivi di lavoro, i dati grezzi del pil dei quattro trimestri del 2017, vale a dire i dati reali che entrano nel computo finale del prodotto ufficiale, non i dati trimestrali destagionalizzati e depurati per i differenti giorni di calendario che vengono temporaneamente stimati durante l’anno per misurare la crescita congiunturale. Considerando i grandi paesi europei e gli Stati Uniti, nel terzo trimestre 2017 la crescita congiunturale italiana è risultata inferiore solo a quella tedesca e spagnola (più 0,8 per cento) e americana (più 0,7 per cento), mentre è stata uguale a quella francese, superiore a quella inglese e olandese (più 0,4 per cento), nonché belga (più 0,3 per cento). Dal lato della domanda l’accelerazione del nostro prodotto è derivata principalmente dall’industria e dai servizi, mentre l’agricoltura, anche a causa della siccità prolungata, ha dato un contributo negativo. Dal lato della domanda, invece, il pil è stato sostenuto sia dalla spesa interna sia dal commercio estero. Degna di nota nel terzo trimestre è stata sicuramente la spinta data all’economia italiana dall’industria. Le stime preliminari sul pil dell’Istat non ci permettono per il momento di quantificarne esattamente l’entità in termini di valori concatenati. Tuttavia i dati trimestrali relativi agli indici di produzione industriale della banca dati dell’Eurostat, aggiornati nelle ultime ore, evidenziano un cambio di passo sempre più significativo dell’Italia nel contesto economico europeo, già cominciato nel secondo trimestre, di cui è abbastanza sorprendente constatare l’assoluto disinteresse da parte degli analisti e dei commentatori del nostro paese.
Infatti, la classifica Eurostat della crescita congiunturale della produzione industriale dei maggiori paesi europei nel terzo trimestre 2017 è stata la seguente (rispetto al secondo trimestre): prima Italia (più 1,5 per cento), seconda Polonia (più 1,4 per cento), terza Germania (più 1,2 per cento), quarto Regno Unito (più 1,1 per cento), quinta Spagna (più 0,8 per cento), sesta Francia (più 0,7 per cento), settima Svezia (più 0,1 per cento) e ottava Olanda (0 per cento). Questi dati, unitamente a quelli della crescita del pil pro capite riportati sul Foglio l’11 novembre, restituiscono un’immagine più veritiera dell’attuale stato di salute del nostro paese. Che non è più la nazione tramortita del 2013, e nemmeno un fenomeno, ma sicuramente un’economia in graduale e costante ripresa. Dispiace per i più strenui propugnatori del malumore, ma l’insopportabile litania del “fanalino di coda”, alla quale l’Italia viene spesso accomunata fino alla nausea, ha ormai le ore contate. L’ottimismo razionale dei dati sta sempre più prevalendo sul pessimismo isterico dei luoghi comuni e delle “fake news” a tutto vantaggio del partito del buonumore. Un partito che magari non vincerà le prossime elezioni ma è l’unico che, con la sua intraprendenza e voglia di lavorare, permette da anni al nostro paese di andare avanti nonostante le lamentazioni e le inefficienze diffuse.