Scommettere sulla Blockchain per aumentare l'umanità del lavoro
Intrecciando le potenzialità dei registri digitali diffusi alla manifattura digitale di Industria 4.0, le implicazioni sono sbalorditive
Ogni volta la stessa storia, a turno si ha l’idea che i diversi spicchi della rivoluzione digitale abbiano la portata dell’avvento delle espadrillas: una moda, brutta o bella che sia, che passerà. E così anche per le valute digitali, come i Bitcoin (comunemente usati in Giappone o altrove, ma non così diffusi qui). Ma le valute sono solo una delle potenzialità della tecnologia Blockchain sottostante.
Le blockchain sono registri digitali diffusi, database condivisi, sulla base di protocolli aperti basati su una rete tra pari, programmabili, basati sulla crittografia e dunque abbastanza sicuri, dove l’affidabilità contabile va oltre il controllo del singolo e può essere analizzata e condivisa da tutti. Hanno potenzialità infinite nelle relazioni tra esseri umani, tra macchine, tra entrambi. Si candidano a essere una nuova infrastruttura economico-sociale. Permettono non solo di eseguire compravendite, ma di perfezionare e validare relazioni economiche, rapporti professionali, “fatti digitali” anche relativi alla produzione, senza che occorra una terza parte che certifichi questa validità.
Intrecciando queste potenzialità alla manifattura digitale di Industria 4.0, le implicazioni sono sbalorditive. Validare digitalmente il dialogo tra le macchine, le persone, i big data, avrà implicazioni importanti. Le blockchain hanno il potenziale per diventare un paradigma di riferimento per i modelli produttivi e di business in ogni settore. In particolare dov’è necessario trovare soluzioni innovative, come la gestione della remunerazione di servizi legati a filiere complesse e articolate sia a monte sia a valle della produzione. Pensiamo all’attuale produzione manifatturiera, a come cambia il ciclo di vita del prodotto, a come si prolunga col riciclo, alle norme sullo smaltimento. Questi passaggi sono spesso ignoti, al buio, e con alte inefficienze e danni ambientali. Con il digitale e la Blockchain lungo tutta la filiera della produzione, fino al riciclo o lo smaltimento, aprono enormi spazi di lavoro e di migliore utilizzo delle risorse naturali. Non solo, le esternalizzazioni massicce hanno dimostrato enormi problemi di governo, coordinamento, qualità, tant’è che ormai è troppo difficile oppure troppo oneroso controllare le forniture solo nella verifica finale del prodotto, magari a valle del “fine linea” o presso il consumatore. Con gli “smart contract”, che offrono la possibilità di perfezionare i contratti in automatico a prestazione/produzione realizzata e consegnata, saranno rivoluzionati e semplificati i rapporti giuridici, con vantaggi in termini di trasparenza e qualità della filiera produttiva anche dal punto di vista delle forme di garanzia della contrattualistica cliente/fornitore. Di certo la trasparenza che assicurano questi registri digitali distribuiti, se ben gestita, può fare bene a consumatori finali e anche ai lavoratori. Schede tecniche dei materiali, tracciabilità dei processi e delle localizzazioni delle produzioni sono utili per il consumatore, che può meglio valutare la qualità del prodotto. Ma anche la salute del lavoratore trarrà vantaggi. Pensiamo a quanto può essere meglio valorizzato “l’umano” in una filiera in cui ci sono materiali di bassa qualità o nocivi, processi produttivi errati ecc. Va da sé che il primo effetto collaterale di un mondo basato sulle blockchain potrebbe essere la minor rilevanza di notai, avvocati, commercialisti, figure che oggi svolgono proprio la funzione di verifica di accordi e transazioni. Immaginiamo però quanto lavoro e quante imprese saranno liberati da incombenze burocratiche. Quanta visibilità e tracciabilità potranno assumere le nuove forme di lavoro, che potranno essere agganciate a un nuovo sistema di diritti e tutele e tenersi così al riparo da abusi e lavoro nero. Ci sono molti rischi da tenere a mente, ma la tecnologia apre a molti la possibilità del lavoro che merita l’uomo: libero, creativo, solidale. Se anche nel sindacato qualcuno pensa che l’iper-notarizzazione delle attività, la fatica, la serialità, l’usura del lavoro siano gli spazi da difendere con i denti, si perderà l’occasione di espandere la sfera dell’umano, cioè di aprire all’uomo la possibilità di occuparsi delle attività a lui più consone, in una prospettiva di “umanità aumentata”. Dipende da noi.
Marco Bentivogli