Urbano Cairo (foto LaPresse)

Il Corriere, La7, il Torino. Parla Cairo

Stefano Cingolani

Ombre di successo. Le imprese riuscite dell’editore puro d’Italia e i dubbi del mercato

Urbano Cairo fa faville: arrivano altre telestar, escono nuovi inserti del Corriere della Sera e magazine colorati con la Gazzetta dello Sport, mentre il bilancio dei primi nove mesi, nei quali ha visto inglobare Rcs in Cairo Communication, chiude con utili consolidati pari a 17,3 milioni di euro, in piena crisi dell’editoria e nonostante un calo degli introiti pubblicitari nella televisione. Eppure, alla Borsa sembra non bastare. Dopo il picco di 4,79 euro raggiunto il 9 maggio, la quotazione del titolo è scesa attorno a 3,9 euro. Un’evoluzione parallela hanno avuto le azioni Rcs Mediagroup (da 1,46 a 1,21). Ha inciso anche il flop della Nazionale di calcio. Il giorno dopo la resa italiana davanti alla Svezia, Rcs (che comprende sia il Corriere della Sera sia la Gazzetta dello Sport) ha ceduto l’8,7 per cento, qualcosa come 56 milioni di euro. L’impatto di medio termine sulla pubblicità, sulle vendite, sull’intero giro d’affari sarà comunque consistente. Il paragone con gli anni ormai lontani dei successi (la vittoria al Mondiale del 2006 portò a oltre due milioni di copie vendute) o anche dei mesi nei quali si sono svolti i campionati Europei e Mondiali, fa sudare freddo. Senza contare gli effetti collaterali sulla squadra del Torino, posseduta da Cairo. La débâcle svaluta (almeno per il momento) il gioiello Andrea Belotti che quest’estate era quotato addirittura cento milioni di euro. Tuttavia l’effetto (s)Ventura non basta a spiegare un autunno opaco e un novembre scuro a Piazza Affari. In un anno il titolo ha guadagnato dieci punti e li ha persi nell’ultimo mese. E Cairo capitalizza 530 milioni a fronte di un fatturato consolidato che supera il miliardo.

 

Il gruppo Rcs ha fatto compiere un balzo incredibile, aggiungendo circa 900 milioni ai 270 di Cairo Communication. Davide ha inglobato Golia, sia pur sostenuto da un colosso come Intesa Sanpaolo che un anno fa gli ha prestato 140 milioni di euro. Prima del lancio dell’Opas (l’offerta pubblica di scambio) nel luglio 2016, l’editore aveva messo sul piatto circa 35 milioni, ai quali ha aggiunto 22 milioni per l’ulteriore pacchetto del 4,2 per cento decisivo per la conquista finale. La Rizzoli è tornata in utile alla fine del 2016 per la prima volta dal 2011, grazie soprattutto al taglio dei costi operativi. La riduzione dei debiti a medio e lungo termine ha fatto scendere l’indebitamento consolidato di Cairo Communication da 352 a 307 milioni nei primi nove mesi dell’anno. Eppure la Borsa trattiene il fiato; gli analisti si dicono preoccupati dal calo dei ricavi (meno 51,7 milioni) e della raccolta pubblicitaria (meno 34 milioni) della Rcs, dal rosso continuo della rete televisiva La7, oltre che dalle incertezze legate alla crisi catalana: il gruppo possiede El Mundo, secondo quotidiano spagnolo, il giornale sportivo Marca e la testata economica Expansión.

 

La Borsa non è tutto e spesso è menzognera. Cairo è un imprenditore che non crede alla turbofinanza, l’unica economia di carta per lui è quella del foglio stampato che odora d’inchiostro. Lo dimostra anche il lancio dell’inserto torinese del Corriere con il quale porta l’attacco in casa di una Stampa, bandiera degli Agnelli, passata al gruppo Espresso di Carlo De Benedetti. “No, è una evoluzione naturale – dice Cairo al Foglio – Il Corriere è il giornale del nord e a Torino, chissà perché, non c’era”. Forse per un tacito accordo preso ai tempi degli Agnelli? Cairo non si esprime. Ma non nasconde la sua soddisfazione. 

 

Un tempo si diceva che il capitalismo italiano gioca a tre punte: un giornale, una squadra di calcio e una banca. Cairo possiede le prime due e ha alle spalle la prima banca italiana con la quale nel luglio scorso ha rinegoziato i debiti della Rizzoli attraverso un prestito di 332 milioni fino al 2022; capofila la Imi, banca d’affari di Intesa Sanpaolo guidata da Gaetano Miccichè il quale fin dall’inizio ha puntato sull’uomo che ha sfidato e battuto la Exor degli eredi Agnelli e i soci storici attorno a Mediobanca, l’arcirivale di Banca Intesa e di Giovanni Bazoli.

 

Per capire in dettaglio come vanno le cose, è bene concentrarsi sui principali settori. I periodici in nove mesi hanno fruttato 6,5 milioni di euro, le concessionarie pubblicitarie hanno perduto 400 mila euro. La7 mostra un miglioramento nel calcolo di costi e ricavi, anche se il fatturato si è ridotto da 77,9 a 71,2 milioni. La rete continua a chiudere in rosso: la perdita di pertinenza del gruppo è stata di 2,5 milioni più o meno come un anno prima (2,8 milioni). Spicca l’aumento dei costi del personale: 25,7 milioni invece di 21,2. Cospicui sono stati gli investimenti in star televisive, soprattutto uscite dalla Rai come Milena Gabanelli e Massimo Giletti schierato di domenica sera. Il debutto di “Non è l’Arena” il 12 novembre è stato ottimo con uno share del 9 per cento (“la pensione si allontana ma il vitalizio non si tocca” è stato un cavallo di battaglia). Ma l’audience della seconda puntata domenica scorsa è sceso al 6,3 per cento: nonostante gli scandali sessuali, ha fatto peggio delle “Iene” su Italia1. Urbano Cairo si dichiara comunque più che soddisfatto visto che la domenica raggiungeva appena il 2 per cento.

 

L’imprenditore si è fatto una fama di uomo d’ordine nel senso che è molto bravo a tenere i conti sotto controllo, la sua leggenda racconta di nottate a curare ogni minimo dettaglio. Il bilancio della Rcs, a giudicare dai numeri, ha trovato un maggiore equilibrio, anche se non basterà controllare le note spese, soprattutto se si vuole allargare l’offerta. Il Corriere della Sera ha assunto un’impronta molto più nazional-popolare, come dimostrano i nuovi inserti e lo spazio dedicato a temi di vita quotidiana. L’editore non è d’accordo: “L’inserto economia è di alta qualità, abbiamo mantenuto tutte le firme di punta, abbiamo portato Gramellini, la Lettura è un prodotto di assoluto livello culturale – dice Cairo al Foglio – E’ vero, gli argomenti sono più vari, ma tutti trattati con il garbo necessario”.

 

In politica, il Corsera ha giocato d’attacco contro il referendum sulla riforma della costituzione ed è entrato più volte in tackle scivolato su Matteo Renzi. Più sfumato l’atteggiamento nei confronti di Paolo Gentiloni, nello stile non tanto nella sostanza. Soprattutto ha colpito l’apertura al Movimento 5 Stelle, come era già avvenuto a La7 in particolare nei talk-show. Naturale, visto che (secondo i sondaggi) è il primo o il secondo partito italiano. Tuttavia per l’antico giornale della borghesia si tratta di una virata, anche perché nelle aree di maggior diffusione e lettori e gli elettori pendono per il centrodestra mentre i pentastellati sono in netta minoranza. “Forse abbiamo una idea diversa di borghesia”, ribatte Cairo. O forse si sente aleggiare un’altra impostazione: sdoganare, stanare il diavolo, se non compiere un vero “take-over” politico-culturale di formazioni amebiche, sfilacciate, alla eterna ricerca di un centro di gravità. Con i grillini sarà più difficile rispetto al centrosinistra.

L’editore, che confessa di amare la politica e di esserne tentato, anche se “per il momento” non ha tempo, si è fatto da solo e ha imparato moltissimo da Silvio Berlusconi, tuttavia non può essere definito un outsider, sostenuto com’è da quella che si è caratterizzata come la “banca di sistema”.

 

In uno scenario di continua caduta delle vendite dei quotidiani, la Gazzetta dello Sport resta una solida corazzata nonostante le tempeste calcistiche. Per il rilancio del Giro d’Italia ha ottenuto un incentivo di 6 milioni dal governo che potrà in parte compensare il flop dei Mondiali. Il Corriere della Sera rimane in testa rispetto alla Repubblica e ha compiuto un recupero consistente nella diffusione digitale dove si colloca tra il secondo e il terzo posto, insidiando TgCom24 del gruppo Mediaset.
Sarà ulteriormente allargato il ventaglio dei periodici. La filiera Dipiù guidata da Sandro Mayer resta il punto di riferimento, ma non si può spremerla oltre certi limiti, di qui il progetto di creare nuove iniziative editoriali dedicate a tutto lo scibile del quotidiano: i motori, le case, il cibo, i viaggi, il lavoro. E’ un mercato già affollato, tuttavia Cairo ha dimostrato di essere un campione in questo campo. Un’altra sfida molto difficile riguarda i libri. Il patron di Rcs non ha mai mandato giù la vendita della controllata libraria a Mondadori, decisa dalla precedente proprietà e sta lavorando a una nuova divisione editoriale. Fino al 2018 c’è un accordo di non concorrenza con la Mondadori, poi liberi tutti.

 

Progetti, progetti, Cairo è destinato a non fermarsi mai. La governance del resto, lo aiuta. E’ presidente e amministratore delegato, possiede quasi il 60 per cento delle azioni, gli azionisti di minoranza (cioè Mediobanca con il 9,9, Diego Della Valle con il 7,3, Unipol attraverso Finsoe e China National Chemical Corporation che ha preso la Pirelli con il 4,6 e il 4,7) sono silenti e plaudenti se i conti vanno bene. Ma se “resettare il calcio”, come ha chiesto dopo la caduta della Nazionale, sarà difficile, rilanciare l’editoria è ancora più arduo. Molti si chiedono se l’imprenditore che chiamavano “urban cowboy” potrà davvero pilotare una portaerei con l’agilità di uno skipper da regata. La vera prova sarà tra quattro-cinque mesi, all’appuntamento con la nuova Italia che uscirà dalle urne.