Tutti i guai della web tax. Ecco i nuovi luddismi
Mucchetti è il padre della tassa, ma Boccia è lo zio che vuol fermare pure i pacchi di Amazon e Flixbus
Se il padre della web tax italiana – l’imposta del 6 per cento sul fatturato per le operazioni di tipo digitale – è il senatore del Pd Massimo Mucchetti, Francesco Boccia è lo zio. Il deputato dem e presidente della commissione Bilancio è da tempo uno dei più accesi sostenitori di una web tax per arginare lo strapotere dei giganti della rete. Nella sua versione ideale la tassa sulle multinazionali digitali sarebbe dovuta essere molto più consistente: “Se passasse l’emendamento in versione soft – dichiarò al manifesto – calcolo che si potrebbe garantire circa 1 miliardo di gettito annuo. Se invece rendessimo strutturale la tassazione, ci ritroveremmo in cassa intorno ai 4-5 miliardi”. Pertanto la web tax à la Mucchetti appena approvata, con tutti i problemi che creerà alle imprese italiane che usufruiscono di servizi digitali, sarebbe solo un pannicello caldo, visto che dall’emendamento alla legge di bilancio sono attesi “solo” 114 milioni di euro e a partire dal 2019, quindi un decimo del gettito della web tax soft di Boccia e un cinquantesimo di quella hard.
Ma la guerra alle multinazionali digitali e dell’e-commerce non va combattuta solo sul lato fiscale. Proprio nei giorni scorsi Boccia ha presentato alla Camera il suo nuovo libro sul tema, “The challenge of the digital economy”, scritto insieme all’economista Robert Leonardi, che propone di dare una risposta complessiva alla sfida digitale, dal fisco alla privacy, dalla concorrenza al lavoro: “Viviamo la più grande rivoluzione moderna del capitalismo, con una conseguente deregolamentazione e massimizzazione dei profitti senza precedenti con la situazione paradossale che a un aumento del pil non corrisponde un correlato aumento del gettito fiscale – ha detto Boccia – Nessuno mette in dubbio i vantaggi offerti dalla rete e dalle tecnologie, ma la politica ha il dovere di regolare questo fenomeno”.
Il problema è che poi quando si tratta di passare alle soluzioni concrete, l’approccio illuminato di Boccia, che vuole conservare i frutti dell’innovazione e mettere le briglie al Far West digitale, si dimostra abbastanza rozzo. Se la web tax pensata contro Google & co. si rivela essere una semplice tassa che colpisce anche le imprese italiane che usano le nuove tecnologie, magari proprio le stesse che lo stato prima di tassarle incentiva con il piano Industria 4.0, la soluzione contro il presunto “monopolio” di mercato di Amazon è ancora più radicale: costruire dei nuovi piccoli o grandi monopoli legali: “Oggi bisognerebbe discutere di una riforma del servizio postale universale legata alla crescita dell’e-commerce. Amazon non può detenere il monopolio delle consegne – ha detto Boccia – Penso che non sia un’eresia discutere di modifica al servizio universale anche per far sì che siano i sindaci a decidere chi entra in città per consegnare un piccolo pacco, e chi gestisce la logistica alle porte della città e penso che questo tocchi anche la funzione futura di Poste”. Se la presunta “deregulation” del mercato fa venire in mente al deputato pugliese il Far West (lui lo chiama “Far Web”), la sua proposta all’analista economico Mario Seminerio ha ricordato il Medioevo: “Si tratta di dare ai sindaci il potere di alzare ed abbassare il ponte levatoio per entrare in città a fare consegne, ma restituendo comunque il monopolio ‘buono’ a Poste italiane – ha commentato ironicamente Seminerio – Se ci pensate, è un’idea geniale: in caso fallisse l’operazione web tax e non si riuscisse a far pagare a quei cattivoni degli Over the top le tasse necessarie, si potrebbe sempre agire a valle, ripristinando il monopolio di Poste sul recapito dei pacchi. A monopolio, monopolio e mezzo”.
E in effetti la regolamentazione immaginata da Francesco Boccia per i fattorini di Amazon non sembra molto distante dalla situazione di Frittole nel “quasi 1500”, la cittadella del film “Non ci resta che piangere”, nella celebre scena in cui Massimo Troisi e Roberto Benigni si trovano davanti al doganiere che ripete: “Chi siete? Cosa portate? Un fiorino!”. In questo caso la norma Boccia sarebbe ancora più restrittiva, perché il corriere Amazon – se il sindaco ha deciso di alzare il ponte levatoio – non potrà consegnare il suo pacco neppure dopo aver pagato il fiorino di web tax.
Oltre ai giganti del “Far Web” come Google e Facebook e ai colossi dell’e-commerce come Amazon, Boccia ce l’ha anche con i nuovi Titani dei trasporti come Flixbus, la compagnia di autobus low cost. Anche in questo caso l’idea illuminata di Boccia è di inserire l’innovazione tecnologica in una nuova regolamentazione del settore, che però all’atto pratico si traduce così: Flixbus deve chiudere. A maggio Boccia era riuscito a far passare con un blitz in commissione un emendamento alla manovrina fortemente voluto dai concorrenti di Flixbus, che di fatto faceva chiudere le attività in Italia della multinazionale. La norma anti Flixbus era stata approvata contro il parere del Pd e del governo, aveva suscitato la reazione del responsabile innovazione dem Sergio Boccadutri, e poi è stata cancellata dopo un intervento di Matteo Renzi. Lo stesso emendamento era stato già approvato mesi prima, a gennaio, su iniziativa di parlamentari pugliesi di centrodestra, e cancellato anche quella volta soppresso in un decreto successivo. Ora la norma anti Flixbus è stata presentata di nuovo come emendamento alla legge di Bilancio. Il futuro di tante aziende, che devono programmare gli investimenti in Italia, dipenderà quindi – per la terza volta in un anno – da un voto tutto politico. Sono i doganieri, gli sceriffi e le loro decisioni arbitrarie il Far West che fa male all’Italia.