Aaron Sosa / Majority World

L'Oil First di Trump può spingere anche gli investimenti italiani

Gabriele Moccia

Eni potrà esplorare i giacimenti dell’Alaska e Saipem, Techint e Danieli potrebbero partecipare alla costruzione di nuove infrastrutture energetiche

 

Roma. La rivoluzione energetica trumpista, potremmo chiamarla “Oil first”, sta spingendo non solo l'economia americana, ma anche gli investimenti internazionali e le opportunità di mercato che sembra crede di più alle mosse Stati Uniti che all'accordo raggiunto oggi a Vienna dall'Opec – il principale cartello dei paesi produttori di greggio – e dalla Russia per la proroga per un'estensione di nove mesi della manovra di restrizione all'offerta di petrolio con cui da mesi stanno sostenendo i prezzi.

  

Un approccio, quello del presidente Donald Trump, che, nei fatti, lungi dall'essere foriero di impulsi protezionistici, sta al contrario suscitando l'interesse dei grandi player internazionali del petrolio come Eni. Il Cane a sei Zampe ha, infatti, ottenuto di recente dall'Amministrazione Trump l'autorizzazione ad avviare l'attività di esplorazione in alcune concessioni che la compagnia detiene da tempo in Alaska, nelle acque federali del mare di Beaufort. Una scelta che non è piaciuta agli ambientalisti, ma che conferma la volontà del presidente americano di andare avanti nella sua America-First Offshore Energy Strategy, per centrare l'obiettivo del dominio energetico globale su un Opec sempre più azzoppata dai veti incrociati sia interni che esterni.

  

L'Alaska, porta di accesso al vero scacchiere energetico del futuro – quello che fa gola al principale competitor di Washington, la Russia – è il primo tassello delle ambizioni trumpiste e quello dato a Eni è il primo via libera alle perforazioni nel tratto di mar Artico sotto influenza americana dopo il 2015.

  

Trump sta utilizzando tutte le leve politiche a sua disposizione. Solo qualche settimana fa, in un voto peraltro bipartisan, la commissione per le Risorse naturali della Camera dei rappresentanti, ha dato il via libera al cosiddetto Secure American Energy Act, che consentirà l'espansione di trivellazioni di gas e petrolio offshore. La maggior parte degli stati che affacciano sul Golfo del Messico hanno diritto a royalties stabilite da un provvedimento firmato dall'ex presidente George W. Bush.

  

Il Secure Act amplierà i diritti all'Alaska e agli Stati dell'oceano Atlantico, oltre ad attenuare il controllo della Casa Bianca. Un colpo alla decisione dell'Amministrazione dell'ex presidente Barack Obama che aveva limitato l'accesso alle aree offshore. Se sull'esplorazioni artiche, oltre ad Eni, sono interessante anche altre big oil companies come la Bp o la Statoil, la spinta alla produzione nazionale americana potrebbe alimentare l'interesse per altre aziende italiane specializzate come Saipem, Techint e Danieli che potrebbero partecipare ad alcuni importanti progetti infrastrutturali a carattere energetico.

  

Infatti, nonostante la falla dello scorso mese, l'oleodotto Keystone ha ottenuto il via libera dalle autorità dello stato del Nebraska, eliminando così l'ultimo ostacolo al progetto dopo nove anni di dure proteste da parte di gruppi ambientalisti e proprietari di terreni. Obama aveva fermato il progetto nel 2015 in ragione dell'impatto delle sabbie bituminose sui cambiamenti climatici, una decisione ribaltata da Trump non appena insediato alla Casa Bianca. Il via libera è avvenuto dopo la fuoriuscita di greggio, il 16 novembre scorso nei pressi della cittadina di Amhearst nel Sud Dakota, di 5 mila barili di petrolio.

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